Si è visto come la riscoperta delle dighe in materiali sciolti per altezze di ritenuta rilevanti sia un fatto relativamente recente. Fino a tutto il XIX secolo la tipologia prevalente per le più alte dighe di ritenuta è quella delle dighe in muratura, nella cui famiglia si possono individuare due sottofamiglie: quella delle dighe a gravità e quella delle dighe ad arco.
Al progetto delle dighe murarie, e di quelle ad arco in particolare, mediante criteri di calcolo razionali, basati su una corretta valutazione delle sollecitazioni agenti e della resistenza dei materiali, si è giunti solo in epoca moderna. Cionondimeno, il principio dell'arco, cioè la possibilità di trasmettere il carico sugli appoggi mediante una struttura arcuata relativamente snella, è noto fin dall'antichità. L'applicazione di questo principio alle dighe di ritenuta ha consentito la costruzione di sbarramenti di questa tipologia anche in epoche remote. Tuttavia, come vedremo, la tipologia ad arco non fu frequentissima tra le dighe più antiche.
La prima diga ad arco della storia si ritiene sia stata quella costruita dai Romani nel I secolo a.C. nella Francia sudorientale per alimentare la città di Glanum, presso l'attuale Saint-Rémy-de-Provence. I ruderi della diga non sono più accessibili in quanto sulle medesime fondazioni della diga romana fu costruita una nuova diga ad arco, la diga di Peirou, ultimata nel 1891. La notizia e le caratteristiche della diga romana sono tuttavia note perché riportate da studiosi che esaminarono i ruderi precedentemente (Esprit Calvet, 1765, e Hector Nicolas, 1885). La diga era costituita da due muri concentrici in pietra con interposto un nucleo in terra (fig. 23). La sua altezza si presume fosse la stessa della diga del 1891, dunque intorno a 12 metri.
Oltre alla diga di Glanum, vi furono diversi altri casi di dighe romane a pianta arcuata, come ad esempio quelle di Kasserine (Tunisia), Cavdarhisar e Orukaya (Turchia). Tuttavia i ricercatori sono concordi nel ritenere che non tanto di dighe ad arco si tratti, quanto di dighe a gravità a pianta arcuata.
Per un lettore che non fosse un tecnico, è opportuno richiamare, a questo riguardo, che per convenzione, perché si parli di diga ad arco, non basta che l'asse planimetrico della diga sia arcuato; è necessario anche che la struttura necessiti dell'effetto arco e dell'appoggio sulle spalle affinché sia garantita la sua stabilità. Qualora invece una diga stia in piedi in virtù del proprio peso, è ritenuta una diga a gravità pure se la pianta è arcuata. In realtà, la famiglia delle dighe a gravità e quella delle dighe ad arco non sono così nettamente disgiunte, soprattutto quando si tratti di dighe storiche. In diversi casi risulta evidente l'intendimento del progettista di far conto sull'effetto arco per garantire la stabilità dell'opera, e tuttavia la sezione della diga appare così massiccia da far ritenere che starebbe in piedi anche solo per gravità (fig. 24). D'altro canto, in passato era assai frequente (ed anzi prescritto dalle regole dell'arte) che una diga a gravità presentasse un andamento planimetrico arcuato. Il fatto di chiamare anche le spalle rocciose a resistere alla spinta dell'acqua e contribuire alla stabilità della struttura, assicurava un margine di sicurezza ulteriore, che non era da sottovalutarsi per strutture dimensionate con criteri di calcolo non ancora maturi.
Fig. 24: (TORRICELLI
et al. 1888) Le dighe spagnole di:
Almansa,
realizzata nel 1584 e sopraelevata nel 1736 (H = 20,69 m, L = 89 m,
V = 2,8 Mm³);
Nijar,
1850 (H = 27,86 m, L = 105,52 m, V = 15 Mm³);
Elche,
1655 (H = 23,20 m, L = 70 + 20 m, V = 4 Mm³).
Si osserva dalle tavole come la diga di Elche, benché
caratterizzata (...)
Fig. 25: Diga di Almansa (per cortesia del sito
embalses.net). La parte più
antica è (...)
Ad ogni modo, volendo
definire le dighe ad arco secondo il criterio
più restrittivo sopra enunciato, si può
affermare non solo che la diga di Glanum è
probabilmente un unicum tra le dighe di epoca
romana, ma anche che fino al XIX secolo le dighe
ad arco costruite nel mondo non furono poi
tantissime.
Fig. 26: La diga della Para sul torrente Rio Grande di Amelia
(per cortesia del sito
UMBRIATOURISM, portale ufficiale della Regione Umbria).
N.B.: La gaveta centrale (...)
In epoca bizantina si ha notizia della diga
di
Dara, costruita per ordine dell'Imperatore
Giustiniano vicino alla città di Mardin, presso
l'attuale confine turco-siriano, e conformata "a
mezzaluna".
In Italia tutt'oggi si conserva in discrete condizioni la diga denominata La Para, sul Rio Grande di Amelia (TR), la cui data di costruzione viene comunemente fatta risalire al XII secolo, e in ogni caso è antecedente al 1427, anno in cui un documento storico cita dei lavori sulla diga, forse di sopraelevazione. La diga è alta circa 20 metri ed è ormai completamente interrita a monte. Anche per la diga La Para, come per altre dighe antiche a pianta arcuata, la natura "ad arco" della struttura è dibattuta: considerato il forte spessore del corpo murario, c'è chi la definirebbe una diga a gravità; d'altro canto, in favore della natura "ad arco" depone non solo la pianta arcuata, ma anche il paramento di valle verticale, più tipico in una diga ad arco che in una diga a gravità. Il FAI - Fondo Ambiente Italiano, non ha dubbi: "è tra le più antiche dighe ad arco superstiti successive alla caduta dell’impero romano". In queste pagine, salomonicamente, la diga "La Para" sarà citata sia a proposito delle dighe ad arco che a proposito di quelle a gravità. Del resto, se La Para fosse una diga ad arco, sarebbe la più antica diga ad arco oggi esistente in Italia; se fosse a gravità, sarebbe la seconda più antica diga a gravità dopo l'altra diga che sbarra più a valle il Rio Grande di Amelia, detta diga del Ponte Grande, la cui parte inferiore si ritiene risalga al III secolo d.C.. In ogni caso si tratta di un monumento di eccezionale valore storico, la cui attenta conservazione riveste un carattere di assoluta priorità.
Fig. 27: La diga di Kurit, Iran, 1350 (EMAMI
2007, per cortesia del Prof. K. Emami). La diga è attualmente (...)
Una fioritura della
tipologia ad arco si ebbe in Iran in epoca
mongola, quando in particolare fu costruita la
diga ad arco di
Kurit (1350 d.C.), che con i suoi 60 metri
di altezza, elevati a 64 nel 1850, rimase la
diga più alta del mondo fino al 1905, quando fu
ultimata la diga
Cheesman in Colorado (USA), alta 67,4 metri.
Fig. 28: La diga ad arco di Ponte Alto sul torrente Fersina,
Trento (BONOMI
1924).
H = 37,9 m, L = 10,4 m
La successiva fase storica che vide la
realizzazione di importanti dighe ad arco è il
XVII secolo, quando in Spagna furono erette le
dighe di
Elche e di
Relleu. In Italia, nel 1611-12 fu costruita
la diga ad arco di
Ponte Alto, presso Trento, sul torrente
Fersina, affluente dell'Adige. La diga fa parte
di un sistema di quattro sbarramenti finalizzati
all'attenuazione delle piene della Fersina, a
protezione della città, costruiti e modificati
nel corso di 300 anni a partire dal 1597.
L'altezza iniziale della diga di Ponte Alto era
di soli 5 metri, ma fu sopraelevata varie volte
a seguito del progressivo interrimento
dell'invaso, fino a raggiungere l'altezza di
39,50 m nel 1887 (fig. 28). Nel 1883, quando si
pose mano all'ultimo sopralzo, settanta metri a
valle della diga si costruì un'altra diga ad
arco, la diga di Madruzza, di 41,1 m di altezza,
il cui invaso da un lato controbilanciava in
parte la spinta agente da monte sulla diga di
Ponte Alto, e dall'altro attenuava l'impatto
sulle fondazioni dell'acqua sfiorata. Benché gli
invasi creati dalle due dighe siano ormai
completamente interriti, queste continuano
tutt'oggi a svolgere la loro funzione di
regolarizzare la pendenza dell'alveo della
Fersina.
Fig. 29: La diga di Madruzza sul torrente Fersina, Trento,
1883 (PONTI
1897).
H = 41,1 m
Nel 1854 in Francia fu
ultimata la prima diga ad arco progettata non
più sulla base di criteri empirici, ma di un
dimensionamento strutturale basato sulla
valutazione delle sollecitazioni agenti sui
materiali. Si tratta della diga
Zola, che prende il nome dal suo
progettista, l'Ing. François Zola (1795-1847,
nato Francesco Zolla, veneziano, padre dello
scrittore Émile Zola), il quale non riuscì a
vedere terminata la sua diga perché mancò pochi
mesi dopo l'inizio dei lavori.
Fig. 30: Diga Zola, Francia, 1854 (per cortesia del sito
Structurae).
H = 36,5 m, L = 62,5 m, V = 1,2 Mm³, spessore alla
base = 12,75 m, spessore in sommità = 5,8 m
Il calcolo di Zola supponeva che la diga fosse formata da una
successione di archi orizzontali indipendenti
ciascuno dei quali soggetto alla spinta
derivante dalla pressione dell'acqua
corrispondente alla profondità dell'arco
rispetto al pelo libero del serbatoio. Da questa
ipotesi deriva una semplice relazione tra
pressione dell'acqua, sforzo agente sulla
sezione radiale dell'arco e dimensioni dell'arco
stesso (diametro e spessore), nota come formula
di Mariotte dal nome del suo scopritore, il
fisico francese Edme Mariotte (1620-1684),
ancora oggi diffusamente utilizzata per il
calcolo di tubazioni e serbatoi cilindrici. Il
calcolo delle dighe a volta, dalle prime
applicazioni di Zola ad oggi, si è notevolmente
evoluto ed affinato. Ciò non toglie che il
criterio di calcolo per archi indipendenti,
adottato con successo nel progetto di numerose
altre dighe, appaia tutt'oggi per niente
irragionevole, e può essere ancora adoperato per
valutazioni di carattere orientativo.
Fig. 31: La diga sul Torre a Crosis, Tarcento (UD), 1896 (FORTI
1915).
H = 40,57 m, L = 48,76 m, V = 20˙000 m³
Fig. 32: La diga sul Cismon a Ponte della Serra, Belluno,
1910 (MINISTERO LL.PP. 1926).
H = 44,4 m, L = 46 m, V = 184˙000 m³
Fig. 33: La diga di Ponte della Serra, vista da valle (per cortesia
del Sig. Federico Beccari,
su unplash.com).
Tra la fine dell'800 e i primi decenni
del '900 la tipologia delle dighe ad arco
conobbe una sempre maggiore diffusione,
particolarmente in Australia e negli Stati
Uniti. In Italia, oltre alla già citata diga di
Madruzza (1883), possono essere ricordate le
dighe di
Crosis (1896, 40,57 metri di altezza sulla
fondazione), di
Ponte della Serra (1910, 44,4 metri) e del
Corfino (1914, 38,5 metri), progettata
dall'Ing. Angelo Omodeo.
Fig. 34: La diga del Corfino, Lucca, 1914, planimetria
generale e sezioni trasversale e longitudinale (MANGIAGALLI 1927).
H = 38,5 m, L = 65 m, V = 740˙000 m³
Fig. 35: La diga
delle Scalere, Bologna, 1911, planimetria generale e sezione
prospettica (BAGGI 1920).
H = 40 m, L = 158 m, V = 6,28 Mm³
Ancora su progetto dell'Ing. Omodeo, nello stesso periodo fu
realizzata la diga delle
Scalere sul torrente Brasimone (1911, 40
metri), classificata come diga a gravità, ma la
cui sezione contenuta e la disposizione
planimetrica ad ampio arco di cerchio
chiaramente indicano l'intendimento del
Progettista di fare assegnamento su di un
parziale funzionamento della diga come arco,
grazie alle buone caratteristiche della roccia
di fondazione. E' invece più chiaramente da diga
ad arco la concezione della diga dei
Gangheri (1916, 42 m), progettata dall'Ing.
Luigi Mangiagalli in collaborazione con lo
Studio Omodeo, e quella della diga del
Furlo (1922, 59 metri), classificata come
diga ad arco-gravità.
Le dighe ad arco ebbero un'importante derivazione rappresentata dalla tipologia ad archi multipli, che rappresentò una brillante soluzione al problema posto dalla difficoltà di costruire una diga ad arco in sezioni di sbarramento piuttosto ampie, ove di norma la tipologia a gravità si fa preferire. Chiudere una sezione ampia con una diga ad arco richiede di realizzare una volta di grande diametro, e la tecnica insegna che maggiore è il diametro adottato, maggiore sarà anche lo spessore da assegnare all'arco affinché le sollecitazioni nella muratura rimangano contenute entro valori ammissibili. Dunque, crescendo l'ampiezza della stretta, la diga ad arco perde la sua caratteristica più interessante: quella di contenere la spinta dell'acqua invasata con una struttura molto più snella ed economica di una diga a gravità. La diga a volte multiple risolve il problema dividendo la sezione di sbarramento in più tratte, ciascuna da chiudere con un arco di modesto diametro e, corrispondentemente, modesto spessore. Secondo lo studioso svizzero Niklaus Schnitter, questo può essere considerato come "uno dei rari autentici colpi di genio" (SCHNITTER 1994).
Fig. 38: La diga di Mir Alam, India, 1804. Planimetria di un
arco, sezione verticale lungo uno sperone e planimetria generale (BLIGH
1915).
H = 12 m, L = 915 m, V = 10 Mm³
Il "colpo di genio" in
tal senso fu la diga ad archi multipli di
Mir Alam (o Meer Allum), ultimata nel 1804,
costruita in India dall'ingegnere dell'esercito
inglese Henry Russle, e tutt'ora in servizio. La
diga, destinata ad alimentare la città di
Hyderabad, è realizzata in muratura di pietrame
e malta, ha un'altezza massima sulle fondazioni
di 12 metri ed è lunga 915 metri; è costituita
da 21 archi verticali semicircolari, di spessore
costante ma diametro variabile, che
all'intradosso varia fra 25 e 42 metri. Gli
archi si appoggiano su speroni molto tozzi e
massicci (fig. 38 - le misure sono espresse in
piedi).
Fig. 39: Schema planimetrico della diga romana di Almonacid
de la Cuba, Spagna. Secondo recenti studi (...)
Va detto che nella storia, anche remota, delle dighe di ritenuta
non mancano precedenti di dighe sostenute da un
sistema di archi e contrafforti. E' questo, ad
esempio, il caso delle dighe spagnole di epoca
romana di
Esparragalejo (I secolo d.C., restaurata, e
praticamente ricostruita, nel 1959) e di
Almonacid de la Cuba (I secolo d.C., oggi
totalmente interrita a monte), o delle diverse
dighe con archi e contrafforti realizzate tra il
1730 e il 1740 dall'aristocratico spagnolo Don
Pedro Bernardo Villarreal de Bérriz al fine di
provvedere di forza motrice mulini o fucine (tra
queste le dighe di
Bedia,
Arencibia,
Laisota e
Barroeta (cfr.
GARCÍA-DIEGO 1971). Dove sta, dunque,
l'originalità della diga di Mir Alam? Sta
evidentemente nella diversa filosofia
progettuale, che non è più quella di sostenere
con dei contrafforti, pur raccordati con archi,
il muraglione di ritenuta, bensì quella di
utilizzare i contrafforti per suddividere in
tratte la sezione di sbarramento, chiudendo
ciascuna tratta con una diga ad arco.
A dispetto della sua riconosciuta genialità, la diga di Mir Alam non ebbe, ai suoi tempi, alcuna imitazione. Dovette passare quasi un secolo, con la costruzione, in Australia, della diga di Junction Reefs sul fiume Belubula (1897) perché un'altra diga ad archi multipli fosse realizzata. Ma questa volta non fu necessario attendere tanto per vedere ulteriori casi, perché nei primi decenni del secolo XX le dighe ad archi multipli si diffusero con andamento esponenziale. In America, l'Ing. John S. Eastwood, convinto fautore di questa tipologia e progettista e costruttore di parecchie di queste dighe nell'ovest degli Stati Uniti, parlava della diga ad archi multipli come della "diga definitiva", dunque il punto di arrivo, non più superabile, della tecnologia delle dighe di ritenuta.
Fig. 41: La diga di Santa Chiara d'Ula sul Tirso,
Oristano, 1923 (MINISTERO LL.PP. 1961).
H = 70,5 m, L = 260 m, V = 400 Mm³
Anche in Italia, intorno al 1920,
le dighe ad archi multipli presero a
diffondersi. La prima ad essere completata, nel
1920, fu la diga di
Riolunato in provincia di Modena, e subito
dopo fu il turno della grande, e bellissima, diga
di
Santa Chiara d'Ula sul Tirso, in Sardegna,
capace di invasare oltre 400 milioni di metri
cubi. La diga, progettata dall'Ing. Luigi Kambo,
fu ultimata nel 1923, e con i suoi 70,5 metri di
altezza sulle fondazioni era all'epoca la più
alta del mondo di questa tipologia.
Fig. 42: Anno 2000, apertura dei varchi sulla diga di Santa
Chiara, destinata ad essere dismessa. Dopo la costruzione di una
nuova e più grande diga sul Tirso (...)
Il 1° dicembre 1923 avvenne il dramma
che stroncò definitivamente lo sviluppo delle
dighe ad archi multipli in Italia: il crollo
della diga sul torrente Povo a
Pian del Gleno (Bergamo), una diga ad archi
multipli che si appoggiava, nella parte
centrale, sopra un tampone a gravità in muratura
di pietrame e malta. I morti furono oltre 500.
Fig. 43: La diga del Gleno, Bergamo, ultimata nell'estate del
1923 e crollata il 1° dicembre dello stesso anno (BARONI et al.
1924). Le immagini mostrano (...)
Le cause del collasso della diga del Gleno poco
avevano a che fare con la sua natura ad archi
multipli, dovendosi ricercare piuttosto nel
cedimento del tampone a gravità sottostante,
insufficientemente dimensionato, malamente
costruito con l'uso di calce debolmente
idraulica e indebolito da una galleria di
scarico centrale dell'altezza di dieci metri.
Tuttavia l'episodio generò in Italia un clima di
sfiducia verso quelle volte sottili che,
soprattutto se realizzate senza una perfetta
osservanza delle buone norme costruttive,
potevano dar luogo a immani disastri. Con
decreto del 6 dicembre 1923, il Ministro dei
Lavori Pubblici insediò una Commissione composta
da quattro tecnici di chiara fama con il compito
di esaminare lo stato di sicurezza delle dighe
esistenti e in costruzione e la loro rispondenza
alle norme vigenti "e in ogni caso suggerire le
urgenti occorrenti provvidenze per assicurare la
stabilità delle opere e la pubblica incolumità".
Fig. 44: La diga del Coghinas, Sassari, 1926 (ANIDEL 1961).
H = 58 m, L = 185,55 m, V = 260 Mm³
A seguito del vaglio operato dalla Commissione,
che terminò i suoi lavori nei primi mesi del
1926, alcune dighe ad archi multipli già in
costruzione furono ultimate come tali (Molato,
in provincia di Piacenza, 55,5 m sulla
fondazione;
Pavana, Bologna, 54 m;
Pian Sapeio, Genova, 19,35 m;
lago Venina, Sondrio, 49,50 m;
Fontanaluccia, Modena, 60 m), mentre altre
furono modificate diventando dighe a gravità. Si
tratta delle dighe della
Val Toggia, Novara, 47 m, del
lago d'Avio, Brescia, 39,55 m e del
Coghinas, Sassari, 58 m.
Fig. 45: La diga del lago d'Avio, Brescia, 1929 (ANIDEL 1961).
H = 39,55 m, L = 306 m, V = 12,4 Mm³
Per queste ultime due dighe, la modifica intervenne quando già l'elevazione degli archi era stata avviata. La
diga del Coghinas mantenne così l'imbocco dello
scarico di fondo, già realizzato al momento
della modifica, alla base di una delle volte
centrali della diga ad archi multipli
originariamente prevista; nel caso della diga
del lago d'Avio, i contrafforti centrali furono
inglobati nella diga a gravità principale, e le
nove voltine centrali già in parte realizzate
furono chiuse superiormente con delle strutture
a cupola addossate al nuovo paramento di monte.