La diga di Monti Pranu in costruzione
«Priva di corsi d'acqua di buona portata estiva,
la Sardegna non può sperare che dai serbatoi l'energia idroelettrica
reclamata soprattutto dai suoi grandi giacimenti metalliferi. Nei
serbatoi troverà la salvezza dalle inondazioni (...) e finalmente l'irrigazione redentrice delle sue riarse
campagne» [Dolcetta, L'impianto del Tirso ed i serbatoi in Sardegna,
1921].
Nel Basso Sulcis, una bonifica fondiaria volta ad eliminare gli inconvenienti sanitari causati dalla mancata regolazione e canalizzazione del Rio Palmas e dei suoi affluenti e a sviluppare un'attività agricola produttiva in una pianura estesa per una superficie di 9000 ettari, era da sempre particolarmente necessaria ed attesa. A sollevare dalla miseria un territorio abbandonato, ove terreni potenzialmente fertili, erano lasciati a pascolo o scarsamente coltivati in prossimità dei centri abitati, in condizioni igieniche gravissime per effetto del paludismo e della malaria che affliggeva e indeboliva una scarsa popolazione, contribuì in modo determinante la costruzione della diga di Monti Pranu, ultimata nel 1955, cinquanta milioni di metri cubi di invaso, infrastruttura nodale della bonifica di quella regione.
Nel primo dopoguerra, le bonifiche nel Basso Sulcis furono inizialmente gestite da imprese private, particolarmente la SASBIA (Società Anonima Sarda Bonifiche Idrauliche ed Agrarie), diretta dall'Avv. Enzo Guastella, e la Società Anonima Bonilay, il cui nome suona anglosassone ma era l'acronimo di un italianissimo "Bonifiche Lay", o meglio "Società Anonima Italiana per Lavori di Bonifica in Sardegna «Prof. Efisio Lay»", dal nome del fondatore e principale azionista della Società (il Prof. Efisio Lay era un medico, possidente e produttore vinicolo di Teulada, molto conosciuto anche a Cagliari, dove fondò la clinica privata che porta il suo nome, in Viale Fra Ignazio). A queste imprese, specificamente rivolte alle attività di bonifica, si aggiungeva anche la Società Chimico-Mineraria, che associava ai preminenti interessi nell'attività estrattiva anche quello nei lavori di bonifica idraulica, particolarmente su terreni di sua stessa proprietà.
Ad incentivare l'iniziativa privata nelle attività di bonifica, qui come in altre zone della Sardegna e del Meridione d'Italia, fu il concorso di diversi favorevoli fattori politici, sociali e, soprattutto, legislativi. Si è detto, nella pagina dedicata a Santa Chiara d'Ula, come già la legge Nitti-Sacchi del 1913 per la costruzione dei serbatoi sul Tirso e sui fiumi silani esprimesse l'orientamento governativo di favorire e finanziare, attraverso l'istituto della concessione, l'iniziativa delle società private nella bonifica integrale del territorio, intendendosi per "bonifica integrale" un insieme di interventi integrati di sistemazione idraulica dei bacini montani, costruzione di serbatoi artificiali per la produzione di energia elettrica e per l'irrigazione e trasformazione fondiaria a valle. Si riteneva, piuttosto fondatamente, che un intervento di bonifica integrato, e anche coercitivo, valesse a superare egoismi e particolarismi da parte dei proprietari terrieri, spesso per niente disposti ad investire le proprie finanze nella bonifica dei loro possedimenti, dai quali potevano comunque ricavare un reddito garantito derivante dalle colture asciutte o dai canoni di affitto dei terreni lasciati a pascolo.
Questo orientamento governativo fu pienamente confermato dal Testo Unico delle leggi sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi di cui al R.D. 30 dicembre 1923, n. 3256, finalizzato a comprendere e integrare in un disegno organico l'insieme delle norme sulle bonifiche emanate dall'inizio del secolo. Il concorso dello Stato nel finanziamento dei lavori era differenziato per le diverse regioni e veniva graduato in relazione al rilievo sociale delle opere di bonifica, distinguendo tra opere e bonifiche di 1ª e 2ª categoria a seconda che queste presentassero, oppure no, "vantaggi igienici od economici di prevalente interesse sociale". In Sardegna, per le bonifiche di 1ª categoria, il concorso finanziario dello Stato ammontava ai tre quarti della spesa; un ulteriore 12,5% era a carico della provincia; il restante 12,5% della spesa rimaneva a carico dei proprietari dei fondi inclusi.
La posizione di vantaggio dei concessionari delle opere di bonifica rispetto ai proprietari dei terreni inclusi nel comprensorio si concretava nella facoltà attribuita al concessionario di espropriare i terreni previsti nel piano di bonifica. Mentre la citata legge Nitti-Sacchi del 1913, rimandando al Testo Unico dei provvedimenti per la Sardegna di cui al R.D. 10 novembre 1907, n. 844, prevedeva l'esproprio nel caso in cui i proprietari dei terreni si fossero rifiutati di acquistare l'acqua per l'irrigazione, il Testo Unico del 1923 (art. 38) prevedeva la facoltà di esproprio tout court: «Nell'atto di concessione potrà essere stabilito che nei tre mesi dalla data di notifica del provvedimento di concessione, il concessionario deve presentare il piano delle trasformazioni colturali o delle utilizzazioni industriali che intende attuare in tutto il comprensorio soggetto a bonifica o in parte di esso. Approvato il piano dal Ministero dei Lavori Pubblici, di concerto con quello dell'Economia Nazionale, il concessionario ha facoltà di espropriare i terreni previsti nel piano medesimo». Il successivo R.D.L. 18 maggio 1924, n. 753, "Provvedimenti sulle trasformazioni fondiarie di pubblico interesse" (art. 4) mitigò un po' il provvedimento, precisando che il concessionario avrebbe potuto essere autorizzato ad espropriare gli immobili del comprensorio «suscettibili di importanti trasformazioni colturali o di utilizzazioni industriali».
Il Prof. Paolo Pili (1891-1985) e il Gen. Carlo Sanna
(1859-1928), promotori della
"Legge del miliardo"
Un ulteriore incentivo all'iniziativa delle imprese capitalistiche
nel campo della bonifica venne, in Sardegna, dalla cosiddetta "Legge
del miliardo" (R.D.L. 6 novembre 1924, n. 1931), fortemente
propugnata dal deputato Paolo Pili insieme con altri parlamentari
sardi, tra i quali spiccava allora, per autorevolezza e prestigio, il Gen.
Carlo Sanna, "Su Babbu Mannu", comandante, durante la
Grande Guerra, della 33ª Divisione dell'Esercito, di cui faceva
parte la stradecorata Brigata Sassari. Come per altri militari
della sua epoca, nell'Italia democratica e repubblicana la memoria
del Gen. Sanna finì per essere gravemente oscurata dall'essere stato, oltre che un gran soldato,
un convinto partecipe dei misfatti della dittatura fascista.
Fu il primo presidente del Tribunale speciale per la
difesa dello Stato, braccio operativo del regime
contro gli oppositori politici. L'ironia della sorte (o meglio, la giustizia
degli uomini) ha fatto sì che a Cagliari la piazza un tempo
intitolata al Gen. Sanna, sulla quale si affaccia il Parco delle
Rimembranze, col Monumento ai Caduti che ricorda le gesta e l'eroismo dei suoi soldati, sia oggi intitolata al più illustre dei
condannati dal Tribunale speciale: Antonio Gramsci.
Cagliari, il Monumento ai Caduti del Parco delle Rimembranze,
eretto nel 1934. Sullo sfondo: Piazza Gramsci (immagine dal
Catalogo generale dei Beni Culturali)
La "Legge del miliardo" prevedeva lo stanziamento di un
miliardo di lire in dieci anni «per opere pubbliche
straordinarie, nonché per opere di carattere igienico sociale
nell'isola di Sardegna, da eseguirsi a cura diretta dello Stato o a
cura degli Enti locali, col concorso dello Stato».
Nel giugno del 1924 la Bonilay presentò una domanda di concessione per la bonifica del Rio Palmas, corredata poi, nel febbraio 1927, dal relativo progetto. Il fascicolo non prevedeva ancora la realizzazione di una diga di ritenuta, ma soltanto la sistemazione, per un certo tratto, degli affluenti rii Mannu di Narcao, Mannu di Santadi, Gutturu de Ponti, Piscinas, Cabriolu e Putzolu, e infine dello stesso Rio Palmas fino alla foce. Contemporaneamente, la SASBIA eseguì uno studio per la sistemazione di tutta la pianura costiera estendentesi da Matzaccara a oltre lo stagno di Porto Botte, per giungere all'irrigazione di tale zona. Né l'una né l'altra società ottenne, tuttavia, la concessione per le opere di bonifica prospettate, sia perché si trattava di progetti tra loro confliggenti, sia perché nessuno degli interventi proposti appariva sufficientemente "integrale": vi era considerata la canalizzazione della parte valliva dei corsi d'acqua confluenti nel Rio Palmas, ma non la sistemazione della parte più alta del bacino, né la possibilità e la convenienza di integrare la sistemazione idraulica degli alvei con serbatoi di regolazione delle piene, il cui invaso potesse anche essere utilizzato per i bisogni dell'agricoltura.
I 46 invasi ipotizzati in Sardegna dal
Servizio Idrografico nello studio del 1928. In blu quelli già
realizzati nel 1934 (...)
Un importante contributo tecnico e progettuale a questo riguardo venne, nel 1928,
dalla pubblicazione del Servizio Idrografico del Ministero dei
LL.PP. "Risorse idrauliche per forza motrice utilizzate e ancora
disponibili - Fascicolo II - Sardegna", nella quale, per
l'intero territorio regionale, veniva esaminata la possibilità di
creare serbatoi artificiali in rapporto alle caratteristiche fisiche
e idrologiche dei bacini idrografici di interesse, venivano
individuate le sezioni ove più fattibile e conveniente sarebbe stato
realizzare una diga di ritenuta, e veniva infine eseguito, per
ciascuno sbarramento ipotizzato, un primo dimensionamento dell'opera
e del serbatoio sulla base dell'estensione e delle prevedibili
esigenze del comprensorio da servire.
A sinistra, gli sbarramenti sul bacino del Rio Palmas previsti dal
Servizio Idrografico nel 1928 (...)
In particolare, per il bacino del Rio Palmas, la
cui estensione si stimava in 476 km², il
Servizio Idrografico previde la possibilità di
realizzare tre serbatoi: il primo sul Rio Mannu
di Narcao a Serra Murdegu, della capacità di
16,50 milioni di metri cubi; il secondo sul Rio
Gutturu de Ponti, della capacità di 21,15 Mm³;
il terzo sul Rio Palmas alla stretta di Monti
Pranu, della capacità di 24 Mm³: «Il Rio di
Palmas verrebbe sbarrato alla stretta di Monti
Pranu, costituita di trachite lavica affiorante.
Per giungere col massimo invaso alla quota
prevista di m 41,50 s.m. saranno necessari,
oltre la diga vera e propria, anche due tronchi
di diga in terra, con ritenuta inferiore a m 6,
per chiudere due varchi dai quali l'acqua
tracimerebbe; tali varchi potrebbero anche
utilizzarsi come sfioratori di superficie (...).
I terreni che si irrigherebbero con le
erogazioni dei tre impianti (ettari 6000)
costituiscono una vasta pianura in ottime
condizioni per l'agricoltura; anzi, fatto
piuttosto insolito in Sardegna, esistono già
nuclei rurali che renderebbero meno difficile il
passaggio dalla coltura estensiva a quella
intensiva» [Servizio Idrografico del
Ministero dei LL.PP., Risorse idrauliche per
forza motrice utilizzate e ancora disponibili -
Fascicolo II - Sardegna, 1928].
Profilo longitudinale, planimetria e sezione maestra della diga
principale, secondo il progetto di massima della Bonilay 9 ottobre
1929
Sulla scorta dello studio del Servizio Idrografico, nel settembre
del 1929 la Bonilay ripresentò la domanda di concessione, stavolta seguita, a breve distanza di tempo, dal progetto di massima della diga sul Rio Palmas a Monti Pranu.
La diga, insieme con gli sbarramenti accessori,
ricalcava planimetricamente quella indicata nella pubblicazione del
Servizio Idrografico, ma raggiungeva in progetto i 38,80 m sulla
fondazione, portando la quota massima di regolazione a 45,35 m
s.l.m. ed il volume invasato a 40 Mm³ (contro i 41,50 m s.l.m. e i
24 Mm³ rispettivamente previsti dal S.I.). La diga principale era
prevista a gravità, con pianta leggermente arcuata; gli sbarramenti
accessori (Bastuppa, Case Miais, Bavorada e Coremò) tutti in materiali
sciolti. Sull'argine di Bavorada doveva correre il nuovo tracciato ferroviario. A circa 200 metri di distanza dalla diga principale, in
sinistra idraulica, era previsto lo sfioratore di superficie,
costituito da quattro luci di 3,50 metri di larghezza ciascuna, con
soglia a quota 43,55 m s.l.m., regolato da paratoie a settore di
1,80 metri di altezza.
La corografia generale del progetto di massima 9 ottobre 1929
della diga di Monti Pranu e sbarramenti accessori (Bastuppa, Case
Miais, Bavorada e Coremò)
I disegni dello sfioratore di superficie nel progetto di massima 9 ottobre 1929
Al di fuori dello specchio del serbatoio, il progetto 1929
confermava i contenuti del progetto 1927, e dunque la prospettata
sistemazione degli affluenti a monte dell'invaso e dello stesso Rio
Palmas a valle della diga. Fu tuttavia presentata, nel maggio del
1930, un'integrazione relativa alla sistemazione del Riu Mannu di
Santadi e degli affluenti Riu Siriddi e Riu Rigau, e del Riu Mannu
di Narcao e dell'affluente Riu de Candiazzus. Era prevista inoltre
la difesa dalle piene dell'abitato di Villaperuccio, prossimo al
Mannu di Narcao, e la ricostruzione di un ponte sul rio appena fuori
dall'abitato medesimo.
Il progetto della Bonilay fu accolto con interesse dagli Uffici regionali e centrali del Ministero dei Lavori Pubblici. Ciononostante, la Società non ebbe la concessione dei lavori, ad eccezione di un primo stralcio di lavori urgenti limitato alla difesa dell'abitato di Villaperuccio e alla ricostruzione del ponte sul Riu Mannu di Narcao. La ragioni furono diverse: da un lato l'interferenza fra l'iniziativa della Bonilay e quelle delle altre Società che operavano nello stesso territorio; dall'altro i dubbi degli Uffici ministeriali su una proposta che contemplava la realizzazione di un solo grande bacino di ritenuta invece dei tre ipotizzati dal Servizio Idrografico; dall'altro, ancora, l'ostilità delle autorità locali fermamente schierate con i promotori dei consorzi dei proprietari.
Il Prof. Silvio Vardabasso (1891-1966) e, a sinistra, il
frontespizio della sua relazione geologica, datata 31 agosto 1932,
sulla prospettata realizzazione del serbatoio di Monti Pranu
La Bonilay si impegnò con buona efficacia a
riscontrare le obiezioni di natura tecnica al suo
progetto. Dapprima, nel gennaio del 1931,
presentò una relazione aggiuntiva nella quale si
dimostrava, sulla base di più accurati rilievi
sull'area destinata ad ospitare l'invaso, che
alla quota massima di regolazione inizialmente
prevista di 45,35 m s.l.m. il bacino di Monti Pranu avrebbe raggiunto non 40, ma 53,3 Mm³ di
volume invasato. Per ottenere i 40 Mm³ di invaso
occorrenti all'irrigazione di 7500 ettari
sarebbe bastato raggiungere quota 42,70 m
s.l.m., e ciò in nessun modo avrebbe inibito la
possibilità di realizzare successivamente gli
altri due invasi prospettati dal Servizio
Idrografico. L'anno successivo, la Bonilay
impreziosì il fascicolo progettuale con una
relazione tecnica dell'eminente geologo Prof.
Silvio Vardabasso, che in esito ad approfonditi
studi e rilievi attestava la fattibilità e la
prevedibile lunga durata dell'opera, attese le
buone caratteristiche delle rocce d'imbasamento
della diga principale e delle dighe secondarie,
l'impermeabilità della zona d'invaso e
l'abbondante disponibilità, a breve distanza
dalle opere previste, di materiali idonei da
impiegare nella loro costruzione. Peraltro,
nell'agosto del 1930 Bonilay, SASBIA e
Chimico-Mineraria perfezionarono un accordo
circa la delimitazione dei comprensori di
rispettiva competenza, il che portò la SASBIA a
ritirare i reclami inizialmente presentati sulla
richiesta di concessione delle opere di bonifica
del Rio Palmas da parte della Bonilay. Un anno
dopo, nell'agosto del 1931, le tre Società
definirono un programma unitario di interventi
nel quale le rispettive proposte, pur restando
tra loro distinte, si integravano senza
sovrapporsi in un organico e unitario progetto
di bonifica dell'intero comprensorio.
Ma le difficoltà e le opposizioni di natura politica, le stesse che, come abbiamo visto in un'altra pagina, inibirono i programmi della Società Bonifiche Sarde dell'Ing. Dolcetta, non poterono essere superate. Col R. decreto-legge 29 novembre 1925 n. 2464 il rapporto di forze tra società private concessionarie (o aspiranti alla concessione) delle opere di bonifica e proprietari dei terreni inclusi nel comprensorio si era invertito completamente; al consorzio dei proprietari, ove costituito, si accordava la preferenza, nella concessione dei lavori di bonifica, rispetto a chiunque altro: "Il consorzio dei proprietari interessati (…) potrà essere autorizzato dal Governo a sostituirsi a qualsiasi altro aspirante alla concessione, previo rimborso di tutte le spese sopportate per la compilazione dei progetti e il procedimento di concessione. La misura delle spese da rimborsare sarà determinata con decreto del Ministro per i lavori pubblici, il quale potrà anche esigere dal consorzio la prestazione di idonea cauzione, a garanzia dell'effettivo eseguimento delle opere".
Così accadde anche in questo caso. Nel 1931, mentre le Società Bonilay, SASBIA e Chimico-Mineraria definivano il loro programma comune, erano già in atto le iniziative dei proprietari di Palmas Suergiu di riunirsi in consorzio, come si legge in un'accorata lettera che il 15 aprile 1931 l'amministratore delegato della SASBIA, Avv. Guastella, inviò al Dott. Eliseo Jandolo, Direttore Generale per la bonifica integrale: "Ora che si sarebbe avvicinata la fase risolutiva del giusto premio di tante fatiche, sorge il solito consorzio per ritardare, se non addirittura frustrare, l'apporto di questa somma considerevole di studi, di progetti, di accordi finanziari preordinati pazientemente a così encomiabile finalità. (...) Desidererei che Ella segnalasse a S.E. Serpieri [sottosegretario al Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, ndr] la opportunità di soprassedere al riconoscimento del consorzio che sarebbe stato giustificabile soltanto all'inizio dell'attività sociale della SASBIA, non ora che potrebbe provocare illecite ingerenze per l'accaparramento dei lavori" [Checco, Stato, finanza e bonifica integrale nel Mezzogiorno, 1984].
E invece non solo fu formalmente costituito, con R.D. 11 aprile 1932, il Consorzio di Bonifica del Rio Palmas, successivamente denominato Consorzio di Bonifica di Palmas Suergiu, con presidente Vittorio Tredici, deputato in Parlamento e segretario dell'Unione provinciale dei sindacati fascisti dell'industria, ma furono di seguito costituiti, nel Basso Sulcis, il Consorzio di Narcao (R.D. 26 maggio 1932) e il Consorzio di Serbariu (R.D. 15 settembre 1932). Lo stesso giorno, 15 settembre 1932, il Consorzio di Bonifica di Palmas Suergiu e il Consorzio di Narcao, si riunivano, seguiti dal terzo il 12 gennaio 1933. Nascevano così i Consorzi Riuniti per la Bonifica del Basso Sulcis, che mantenevano amministrazioni separate sotto la presidenza unica di Vittorio Tredici.
Vittorio Tredici (1892-1967)
Era questi un esperto riconosciuto nei problemi dei minatori e
delle miniere e un rispettato dirigente politico, ex combattente decorato, già
podestà di Cagliari, profondamente religioso e
sinceramente impegnato a migliorare le dure
condizioni di vita e di lavoro dei minatori
sardi. Fascista convinto, ma anche strettamente
legato al mondo cattolico nelle sue varie
articolazioni, di fronte alla battaglia del
fascismo contro gli ebrei e l'Azione cattolica e
alla guerra a fianco della Germania
paganeggiante e anticattolica, non ebbe
esitazioni a far prevalere la sua fede religiosa
allontanandosi da quella politica. Trovandosi a
Roma durante l'occupazione tedesca, soccorse e
nascose nella sua casa ebrei e partigiani,
aiutandoli poi a trovare ospitalità e rifugio
presso istituti religiosi, con ciò mettendo a
grave rischio sé stesso e i propri familiari.
Nel 1997, trent'anni dopo la sua morte, il nome
di Vittorio Tredici venne scolpito sul Muro
d'Onore dei Giusti tra le nazioni nel memoriale di Yad
Vashem. Uno dei sette sardi tra i 766 italiani (al
27 gennaio 2024), con Salvatore Corrias, Girolamo e
Bianca Sotgiu (quest'ultima sarda di adozione),
Rosina (Suor Giuseppina) De Muro, Francesco e Carmen Loriga.
L'impegno di Tredici nei consorzi di bonifica non si inseriva tanto nella disputa in atto fra società private aspiranti alla concessione dei lavori e possidenza fondiaria; certo, vedeva di buon occhio e favorì la costituzione dei consorzi, ritenendo che i guadagni della bonifica non dovessero essere sottratti all'economia terriera a vantaggio di "società di pura speculazione". Tuttavia, la sua principale finalità era un portato della sua attività di sindacalista: egli vedeva nei consorzi un potenziale sbocco lavorativo per i tanti minatori che perdevano il lavoro in conseguenza dell'instabilità del settore minerario. "Il problema centrale consiste dunque nell'assorbimento non temporaneo, ma definitivo di migliaia di lavoratori che da secolare tradizione sono sottratti all'economia terriera. Ruralizzazione effettiva e duratura; questo è dunque il fine ultimo cui deve mirare, con continuità di propositi e di azione l'Ente, necessariamente pubblico, che si assume la responsabilità dell'esecuzione delle opere di bonifica e trasformazione, le quali non sono che un mezzo per raggiungere attraverso la redenzione della terra il più vasto compito della rieducazione delle masse lavoratrici". In questi termini, nell’ottica di Tredici, il finanziamento delle opere di bonifica da parte dello Stato diventava, più che il prezzo dell'alleanza del regime fascista con la proprietà terriera, un veicolo di risanamento economico e sociale a vantaggio delle classi più povere. Vittorio Tredici restò alla guida dei Consorzi Riuniti fino all'agosto del 1934, quando rassegnò le dimissioni "per uniformarsi alle recenti disposizioni di massima circa il divieto di cumulo delle cariche". Successore di Tredici fu nominato l'Ing. Antonio Salaris.
Con Decreto del Ministero dell'Agricoltura 15 aprile 1933, i Consorzi Riuniti subentrarono alle Società Bonilay e SASBIA nell'esecuzione dei lavori di bonifica dei rispettivi comprensori. Il Decreto, oltre che prescrivere il subentro dei Consorzi Riuniti nella concessione, disponeva anche il finanziamento di un primo lotto di lavori, denominati "Sistemazione del Rio Santu Milanu", per complessive lire 1˙770˙749,80 a totale carico dello Stato. Alcuni mesi prima, il 24 novembre 1932, i Consorzi avevano stipulato una convenzione con l'ISBI, Istituto Sardo per la Bonifica Integrale, che assumeva il finanziamento e l'esecuzione di tutte le opere ad essi concesse. Anche per il comprensorio del Basso Sulcis si realizzò così l'ingresso dell'Istituto controllato e finanziato dal Credito Italiano. Sulla base della convenzione predetta, l'ISBI, quale ente finanziatore ed esecutore delle opere, anticipò ai Consorzi, con un interesse annuo del 5%, 1˙500˙000 lire di cui 1˙200˙000 lire (circa 1,5 milioni di euro attuali) furono necessarie per estromettere le Società private Bonilay e SASBIA e acquistarne i progetti, e il resto per l'aggiornamento e l'integrazione dei progetti medesimi. L'esecuzione dei lavori fu affidata all'Impresa Costruzioni Stradali in Sicilia (ICSIS), anch'essa collegata al Credito Italiano.
Alla fine del 1933, a seguito della vendita della Società mineraria Bacu Abis alla Società mineraria Carbonifera Sarda, si erano resi disponibili i poderi dell'azienda agraria annessa alla miniera, non rilevati dalla subentrante. Per interessamento di Tredici, l'azienda agraria fu venduta all'ISBI ed entrò a far parte dei terreni di competenza dei Consorzi Riuniti del Basso Sulcis. Nella circostanza, l'ISBI si impegnò a utilizzare per l'esecuzione dei lavori e per l'assegnazione dei lotti bonificati gli operai licenziati dalla miniera di Bacu Abis dalla nuova gestione. Furono così approntati, con finanziamenti pubblici di diversa provenienza per un ammontare di 975˙000 lire, 27 poderi estesi tra i 16 e i 20 ettari, dotati di fabbricati, stalle, pozzi e acqua. Furono costruite strade poderali e fornite ai coloni scorte e bestiame. Fu inoltre anticipato ad essi il necessario per il mantenimento della famiglia.
Nella seconda metà del 1934 la questione della ruralizzazione dei minatori sardi in eccesso si ripropose. Lo stesso Mussolini, dopo aver richiamato il problema all'attenzione del Ministero dell'Agricoltura, invitò il prefetto di Cagliari a presentare un progetto per la sistemazione agricola di un numero variabile tra i cento e i cinquecento minatori disoccupati. Il prefetto, con la collaborazione di Tredici, presentò un piano per la sistemazione di 100 poderi. Con Decreto dell'11 gennaio 1935 il Ministero dell'Agricoltura affidò i lavori ai Consorzi Riuniti del Basso Sulcis nell'ambito di un secondo lotto di interventi il cui finanziamento era previsto per l'87,5% a carico dello Stato, per complessive £ 971˙250, e per il 12,5%, corrispondente a £ 138˙750, a carico dei proprietari. Tra i lavori del lotto figurava anche la realizzazione della strada Matzaccara-bivio per Tratalias. Col medesimo Decreto era concesso ai Consorzi Riuniti, e finanziato con 854˙000 lire a totale carico dello Stato, un terzo lotto di lavori riguardanti la sistemazione del Riu Arriga.
Sezioni trasversali sullo scarico di fondo e
sullo scarico di superficie principale in
sinistra secondo il progetto 1934
Il quarto lotto di interventi
sarebbe stato quello relativo alla realizzazione
dell'invaso di Monti Pranu.
Nell'agosto del 1934 i Consorzi presentarono il progetto esecutivo delle
opere, curato dall'ISBI, a firma dell'Ing.
Emilio Battista, unitamente alla domanda di
concessione di un primo stralcio di lavori
riguardante opere preliminari (strada di accesso
al cantiere, deviazione della ferrovia privata
Pantaleo – Porto Botte, casa di guardia, linee
ed impianti elettrici e telefonici,
espropriazioni).
Il progetto prevedeva non più uno sfioratore indipendente dalla diga principale, ma due sfioratori in corpo diga: il principale in sinistra, capace di evacuare 900 m³/s, formato da tre luci di 10 m di larghezza con soglia a quota 36,50 m s.l.m., regolate da altrettante paratoie piane di 7 m di altezza; il secondo in destra, formato da una batteria di sifoni autolivellatori con innesco a quota 41,00 m s.l.m., capaci di evacuare fino a 150 m³/s. Il volume di invaso disponibile per l'irrigazione, delimitato dalla quota massima di regolazione di 41,00 m s.l.m., sarebbe stato di 36,5 Mm³; il volume disponibile per la laminazione degli eventi di piena, compreso fra 41,00 e 43,50 m s.l.m. sarebbe stato invece di 13,5 Mm³, per un volume totale di invaso di 50 Mm³. Gli sbarramenti secondari Bastuppa, Case Miais e Bavorada erano tutti, stavolta, previsti in muratura di pietrame; solo l'argine di Coremò rimaneva in materiali sciolti.
La sezione longitudinale della diga (vista da monte) nel progetto esecutivo 1934
Il progetto fu esaminato dal Comitato Tecnico Amministrativo presso il Provveditorato alle Opere Pubbliche di Cagliari, che con voto emesso nell'adunanza del 12 novembre 1934 lo ritenne meritevole di approvazione dopo aver introdotto alcune riduzioni sui prezzi che portarono il costo complessivo delle opere da 29,9 a 26 milioni di lire. Cionondimeno, come si legge sui documenti dell'epoca, per il sopraggiungere di nuove disposizioni di carattere finanziario che non consentivano l'impegno di somme superiori a quelle necessarie per le sole opere preliminari e per le fondazioni della diga principale, l'ulteriore istruttoria presso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per l'approvazione del progetto e la concessione delle opere rimase sospesa. Con voto n. 2050 in data 29 febbraio 1935 la Terza Sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici negò l'autorizzazione all'inizio dei lavori e la dichiarazione di urgenza ed indifferibilità delle opere.
Il motivo del mancato finanziamento dell'opera, allo stato delle ricerche, non è completamente chiaro. E' possibile che non vi fosse la necessaria capienza nei fondi stanziati dalla legge "Mussolini" sulla bonifica integrale (L. 24 dicembre 1928 n. 3134), fondi dai quali, e nei limiti dei quali, il Ministero dell'Agricoltura attingeva per disporre con propri decreti la sovvenzione di opere di irrigazione e di bonifica idraulica da eseguirsi in concessione. Peraltro, negli anni successivi, l'impegno dell'Italia nelle guerre di Etiopia (1935-36) e di Spagna (1936-39) distrasse notevolmente verso il sostegno dello sforzo bellico le risorse economiche dello Stato.
E' anche possibile che i Consorzi Riuniti, ancorché appoggiati dall'ISBI, non fossero ritenuti un Ente tecnicamente e finanziariamente tanto solido da assumere la concessione di un'opera così impegnativa, anche alla luce delle modalità di finanziamento previste dalla predetta legge "Mussolini". I finanziamenti statali erano erogati nell'arco di trent'anni mediante annualità posticipate, spesso corrisposte con forte ritardo. Ciò costringeva dapprima i concessionari ad anticipare i capitali occorrenti per far fronte alle spese di progettazione e di prima esecuzione dei lavori al solo fine di poter accedere alla liquidazione delle annualità statali, e poi, per tutta la durata dei lavori, ad anticipare il pagamento delle opere via via eseguite, in ogni caso caricandosi degli interessi passivi conseguenti alla tardiva riscossione delle annualità. Benché i finanziamenti statali comprendessero anche un tasso di interesse annuo presunto che avrebbe dovuto compensare gli interessi sui prestiti e sui mutui accesi dai proprietari, l'eccessivo arco di tempo che di regola correva tra l'esecuzione dei lavori e la liquidazione dei relativi crediti portava spesso gli interessi passivi a carico dei concessionari a superare quelli corrisposti dallo Stato nella liquidazione delle annualità, e dunque a erodere in modo sostanziale l'utile di impresa che giustificava l'interesse di società come l'ISBI al finanziamento e alla realizzazione delle opere.
Sul finire degli anni '30 si ritenne di affiancare ai Consorzi Riuniti un Ente che per capacità tecnica e finanziaria potesse integrarne l'attività, per conseguire la realizzazione dei programmi di irrigazione. A tale scopo fu dapprima chiamata l'Opera Nazionale Combattenti, che però non dette corso ad alcuna attività. Successivamente, l'Azienda Carboni Italiani richiese ed ottenne di sostituirsi all'O.N.C. nella realizzazione del programma della bonifica e della trasformazione fondiaria, riconosciuta indispensabile per assicurare le condizioni di vita della popolazione mineraria, in forte crescita dopo la fondazione di Carbonia per effetto dell'immigrazione conseguente all'apertura di nuove miniere carbonifere.
Nel 1938, in seguito all'emanazione del R. decreto-legge 13 gennaio 1938, n. 12 che disponeva "Nuove assegnazioni finanziarie per la bonifica integrale" nella misura di 2˙515 milioni di lire, sembrò che si presentasse l'occasione per il finanziamento delle opere grazie all'intervento dell'Azienda Carboni Italiani, cui l'articolo 7 del R.D.L. medesimo consentiva di avere in concessione o in appalto a trattativa privata le opere di sistemazione idraulica, stradali e di approvvigionamento idrico interessanti le zone carbonifere del Basso Sulcis, sulla base del solo parere del Comitato tecnico amministrativo presso il Provveditorato alle Opere Pubbliche della Sardegna. Nell'occasione, i Consorzi Riuniti provvidero ad aggiornare il progetto ai prezzi correnti, col che l'ammontare del costo delle opere ascese a 28,5 milioni di lire. Ma ancora una volta, anche per il sopraggiungere, nel 1940, dello stato di guerra, nessuna attività fu effettivamente intrapresa. La realizzazione della diga di Monti Pranu non fu mai, neanche in parte, sovvenzionata durante il regime fascista. Furono certo eseguite altre opere di bonifica, poiché risulta che a tutto il 1938 l'ISBI abbia eseguito per i Consorzi del Basso Sulcis, attraverso l'Impresa collegata ICSIS, lavori di bonifica per un ammontare di 13 milioni di lire (Tassinari, 1938, vedi Bibliografia). Ma la costruzione della diga non fu avviata, nemmeno limitatamente alle opere preliminari.
Si dovette aspettare la fine della guerra e i vasti programmi di sviluppo legati alla ricostruzione nazionale affinché la trasformazione fondiaria del Basso Sulcis tornasse all'attenzione del Governo nazionale, nel quale sedeva peraltro, come Ministro dell'Agricoltura e delle Foreste, il sardo Antonio Segni. Poiché la trasformazione fondiaria era principalmente basata sull'irrigazione, fu stabilito di dar corso alla costruzione del serbatoio di Monti Pranu, che avrebbe assicurato la disponibilità della risorsa idrica necessaria.
Nel maggio del 1947 l'Azienda Carboni Italiani presentò un nuovo progetto di primo stralcio, che confermava le previsioni tecniche del progetto 1934, limitandosi ad aggiornare i prezzi di manodopera, mezzi e materiali. Il progetto fu approvato in linea tecnica dal Servizio Dighe il 27 agosto 1947. I lavori di costruzione delle dighe di Monti Pranu e Bastuppa furono affidati all'Impresa Tudini e Talenti. Il 6 novembre 1947 avvenne la consegna dei lavori all'Impresa appaltatrice, e il 13 aprile 1948, alla presenza del Ministro, On. Segni, si tenne la solenne cerimonia della posa della prima pietra della diga di Monti Pranu.
Durante il corso dei lavori, diverse furono le modifiche apportate. La più rilevante, prevista già nel primo progetto di variante in data 20 luglio 1948, consistette nel portare il volume di invaso disponibile per l'irrigazione da 36,5 a 50 Mm³, elevando la quota massima di regolazione da 41,00 a 43,50 m s.l.m.. La laminazione degli eventi di piena, piuttosto che con la riserva di un volume di 13,5 Mm³, sarebbe stata possibile mediante uno sfioratore libero capace di evacuare una portata di 600 m³/s in corrispondenza di una quota di massimo invaso pari a 45,50 m s.l.m..
Dunque, le luci di sfioro con paratoie e i sifoni autolivellatori previsti nel progetto del 1934 erano sostituiti da luci libere. Inizialmente, nel primo progetto di variante, a firma dell'Ing. Antonio Salaris, si pensò di trasferire lo sfioratore nella diga secondaria di Bastuppa, dove si previdero ben 54 luci di 10,00 m di larghezza ciascuna, delle quali 10 in destra, con soglia libera a quota 43,50 m s.l.m., e ulteriori 44 a seguire verso sinistra con soglia libera a quota 45,25 m s.l.m..
Planimetria e sezione longitudinale della diga di Monti Pranu, nella sua definitiva conformazione (ANIDEL, 1961)
Poiché dalla diga di Bastuppa le acque di sfioro
sarebbero state immesse nel Rio Crabiolu,
affluente del Rio Palmas, il progetto di
variante 1948 comportava la sistemazione
idraulico-valliva, da eseguirsi in un secondo
tempo, soprattutto con arginature, dei Rii
Crabiolu e Palmas (quest'ultimo a partire dalla
confluenza del Rio Crabiolu). Questa
sistemazione, secondo l'intendimento del
Progettista, sostituiva l'intera sistemazione
del Rio Palmas a partire dalla diga principale,
che era prevista nel primitivo progetto del 1934
per consentire il contenimento a valle delle
acque di sfioro. Tuttavia, ragioni di carattere
economico inibirono la possibilità di prevedere
opere di sistemazione idraulico-valliva. Sorse
perciò la necessità di variare ancora il
progetto, in modo da consentire il contenimento
delle acque di sfioro senza necessità di
arginature o altre opere a valle.
Il secondo progetto di variante in data 20 settembre 1949, ancora a firma dell'Ing. Salaris, riportò quindi lo sfioratore sulla diga principale, prevedendovi 8 luci in sinistra di 8,50 m ciascuna, con soglia libera a quota 43,50. Sulla base di valutazioni idrologiche e idrauliche aggiornate, la nuova conformazione avrebbe consentito di laminare la piena di progetto, con picco di 1280 m³/s, scaricando a valle una portata massima di 450 m³/s, corrispondente ad un livello massimo di invaso pari a 45,50 m s.l.m. La portata massima scaricata avrebbe potuto essere convogliata dall'alveo del Rio Palmas senza necessità di arginature, ma con interventi di sistemazione localizzati in un breve tratto di sponda.
Sulla diga di Bastuppa, per ancora maggior sicurezza contro il pericolo di tracimazione delle dighe secondarie in materiali sciolti, si scelse di mantenere uno sfioratore centrale formato da 6 luci libere di 10 m ciascuna con soglia alla quota di massimo invaso 45,50 m s.l.m., che avrebbe potuto funzionare solo nel caso di piene più importanti di quella di progetto. Fu questa la conformazione definitiva delle due dighe in muratura di pietrame (la diga principale e quella di Bastuppa). La realizzazione dei due sbarramenti fu completata sul finire del 1950. Il 24 giugno 1951 si tenne la cerimonia di inaugurazione delle opere, ancora una volta alla presenza del Ministro, On. Segni, e del Presidente della Regione, On. Luigi Crespellani.
Il decorso progettuale e costruttivo delle dighe secondarie in materiali sciolti fu più lungo. Il progetto 1934 prevedeva, per Case Miais e Bavorada, delle dighe in muratura del tutto analoghe a quella di Bastuppa. In fase esecutiva, in esito a nuovi accertamenti eseguiti lungo il tracciato delle due dighe secondarie, emerse che il banco di roccia trachitico affiorante sulla destra della depressione di Case Miais si perdeva dopo circa 180 metri per venire ricoperto da un banco argilloso di potenza crescente fino a oltre 30 metri di profondità. Anche per la depressione di Bavorada, dalle trivellazioni ed assaggi eseguiti risultò un profondo strato superficiale argilloso per tutto lo sviluppo del tracciato, ad eccezione di un breve tratto presso le estremità. Con queste premesse, non risultando possibile eseguire le fondazioni a profondità compatibile con la modesta elevazione delle dighe di Case Miais e Bavorada, il primo progetto di variante 20 luglio 1948 modificò la tipologia delle dighe, prevedendole non più in muratura ma in terra argillosa con nucleo centrale in argilla, paramenti con pendenza 1:2 a monte e 1:1,5 a valle e paramento di monte rivestito con lastroni di calcestruzzo, dello spessore di 8 cm; per l'argine di Coremò rimase la scelta di realizzarlo in terra omogenea, come poi effettivamente lo si realizzò.
Il secondo progetto di variante in data 20 settembre 1949 apportò, per le dighe di Case Miais e Bavorada, un'ulteriore modifica, sostituendo il nucleo centrale in argilla con un corpo centrale in terra fortemente argillosa, con pendenza 1:2 a monte e 1:1,5 a valle, ammorsato sotto il piano di campagna con trincee longitudinali (in numero da due a quattro a seconda dell'altezza del rilevato) della larghezza di m. 1,50 e della profondità di m. 1,50, ritenuta sufficiente ad attraversare il terreno superficiale e raggiungere il banco di argilla sottostante. Addossato al corpo centrale, sia a monte che a valle, era disposto uno strato di terra meno argillosa dello spessore di circa 2 metri. Sul paramento di monte restava il rivestimento con lastroni di calcestruzzo. Al di sotto del semicorpo di valle, a contatto con il terreno di fondazione, era realizzata una successione di trincee drenanti longitudinali e, ad interasse di 20 metri, delle trincee drenanti trasversali che convogliavano a valle eventuali permeazioni raccolte.
Con questa conformazione le dighe in terra furono realizzate. I lavori di costruzione, iniziati nel gennaio 1949, furono ultimati, per quanto si riferisce ai rilevati, il 30 settembre 1950. Prima di eseguire il rivestimento del paramento di monte e la sistemazione del piano stradale previsto in sommità, si ritenne opportuno attendere l'assestamento delle terre. Proprio in previsione di un assestamento dei rilevati, la loro altezza fu prudenzialmente maggiorata del 15%, e tuttavia si constatò che il calo effettivo della quota di sommità non fosse stato così rilevante, a riprova della buona accuratezza con la quale i rilevati erano stati eseguiti.
In attesa dell'assestamento dei rilevati, pressoché ultimate le dighe in muratura di Monti Pranu e di Bastuppa e preparata una buona parte della rete di canali di irrigazione, nell'ottobre del 1950 fu iniziato l'invaso parziale del bacino, con quota autorizzata pari a soli 35,00 m s.l.m. (mancando ancora il rivestimento delle dighe in terra).
L'esperimento dell'invaso parziale consentì di osservare che il rivestimento delle dighe di Case Miais e Bavorada, limitato a soli 8 cm di calcestruzzo, avrebbe potuto rivelarsi troppo esiguo a fronte di un moto ondoso nel bacino caratterizzato da onde che raggiungevano altezze da 0,5 ad 1 m in occasione di giornate particolarmente ventose. Col progetto del 35° lotto dei lavori, in data 20 marzo 1952, modificato in modo non sostanziale in sede di approvazione, fu previsto di rivestire le dighe di Case Miais e Bavorada con lastroni in calcestruzzo dello spessore di 15 cm gettati in opera su un sottofondo di 30 cm di muratura di pietrame a secco costruito a sua volta sopra uno strato di 20 cm di pietrisco con funzione di filtro rovescio. La muratura a secco era prevista col fine di drenare in breve tempo il rilevato man mano che le acque fossero scese di livello nel serbatoio, ed il filtro rovescio in pietrisco aveva invece lo scopo di impedire che con la decrescita del livello delle acque fossero trascinate le materie terrose costituenti i rilevati arginali. Per la protezione del piede del rivestimento fu prevista l'esecuzione di un taglione di calcestruzzo cementizio dello spessore di 90 cm e della profondità media di 1,30 m.
Nel mese di marzo del 1953, a seguito di una piena eccezionale del Rio Palmas, si ebbe un rapido innalzamento delle acque nel serbatoio, con l'invaso di circa 30 Mm³ in 48 ore. Nell'occasione le dighe in terra, non ancora rivestite, furono interessate per la prima volta dall'invaso per un'altezza fino a circa 6 metri sul piede. Nei giorni seguenti, l'invaso fu gradatamente fatto decrescere con l'apertura degli scarichi, riportando all'asciutto i rilevati dopo circa 12 giorni. Si constatarono allora diverse lesioni di lieve entità sul coronamento, e qualche modesto cedimento attribuito ad assestamento delle terre. Il Servizio Dighe, esaminati i fenomeni verificatisi, richiese un'altra integrazione progettuale che prevedesse, oltre all'esecuzione del rivestimento protettivo sul paramento di monte secondo quanto previsto nel progetto approvato,
Il progetto del 35° lotto venne così rielaborato con una variante in data 30 luglio 1953, come sempre a firma dell'Ing. Salaris. La variante previde i rinfianchi, cui fu assegnata la pendenza di 1:3 a monte ed 1:2,5 a valle, ed un muro di sottoscarpa in pietrame a secco corrente al piede di valle con funzione di ulteriore drenaggio.
In sommità, già dal progetto di variante 1948, era prevista la sistemazione di una strada carreggiabile, inizialmente da realizzarsi con la sola stesa di macadam all'acqua. Nella versione definitiva delle opere, anche su indicazione del Servizio Dighe, si previde non solo l'impermeabilizzazione superiore delle due dighe in terra, con esecuzione di un manto stradale formato da pietrisco amalgamato con bitume, per uno spessore di 10 cm, ma anche la realizzazione di un sottofondo in pietrame di 25 cm di spessore poggiante su uno strato di pietrisco di 15 cm; il tutto contenuto fra due cordoli in calcestruzzo. Sul lato di valle della sede stradale fu prevista una fila di paracarri; sul lato verso il lago fu realizzata una protezione costituita da pilastrini in cemento armato posti ad interasse di 2,5 m collegati da una traversa pure in cemento armato. Entrambe le protezioni sono oggi sostituite da guardrail.
Anno | 1929 | 1934 | 1948 | 1949 | 1952-53 |
Ente | Bonilay | Consorzi Riuniti per la Bonifica del Sulcis | Azienda Carboni Italiani | inv. | inv. |
Quota coronam. [m s.l.m.] | 47,10 | 45,50 | 46,50 (47,00 sulle dighe secondarie in terra) | inv. | inv. |
Quota max di regolaz. [m s.l.m.] | 45,35 | 43,50 | 43,50 | inv. | inv. |
Volume di invaso previsto [Mmc] | 40,00 (poi corretto a 53,30) | 50,00 (36,50 per irrig. + 13,50 per lamin.) | 50,00 | inv. | inv. |
Sfioratore | 4 luci in sponda sx di 3,50 m ciascuna con soglia a quota 43,55 con paratoie alte 1,80 m | 3 luci in sx diga di 10,00 m ciascuna con soglia a quota 36,50 con paratoie alte 7,00 m + sifoni in dx diga con innesco a quota 41,00 | 54 luci nella diga di Bastuppa di 10,00 m ciascuna, delle quali 10 in dx con soglia libera a quota 43,50 e 44 a seguire verso sx con soglia libera a quota 45,25 | 8 luci in sx diga di 8,50 m ciascuna con soglia libera a quota 43,50 + 6 luci centrali di 10 m ciascuna nella diga di Bastuppa con soglia libera a quota 45,50 | inv. |
Tipologia dighe secondarie | Argini in materiali sciolti | Case Miais e Bavorada: in muratura di pietrame a gravità. Coremò: in terra | Case Miais e Bavorada: in terra argillosa con nucleo centrale in argilla; paramenti con pendenza 1:2 a monte e 1:1,5 a valle, con paramento di monte rivestito con lastroni di cls. Coremò: in terra | Case Miais e Bavorada: in terra fortemente argillosa e paramenti in terra argillosa (pendenza 1:2 a monte e 1:1,5 a valle), con paramento di monte rivestito con lastroni di cls di 8 cm di spessore. Coremò: in terra | Case Miais e Bavorada: invariata, ma con pendenza dei paramenti ridotta a 1:3 a monte e 1:2,5 a valle mediante rinfianchi; paramento di monte rivestito con lastroni di cls di 15 cm di spessore poggiante su un sottofondo di 30 cm di pietrame a secco steso su uno strato di 20 cm di pietrisco; muro a secco di drenaggio al piede di valle. Coremò: in terra |
I lavori sulle opere complementari si conclusero il 14 maggio 1957. Nell'autunno dello stesso anno fu autorizzato l'invaso totale del bacino. La quota massima di regolazione di 43,50 m s.l.m. fu raggiunta per la prima volta il 6 gennaio 1958. Non per questo, tuttavia, terminarono le vicissitudini del serbatoio di Monti Pranu.
Già in conseguenza dei primi invasi, limitati alla quota 35,00 m s.l.m., si erano verificati a valle del serbatoio, in prossimità degli abitati di Palmas (frazione di San Giovanni Suergiu) e Villarios (frazione di Giba), notevoli ampliamenti di zone acquitrinose, sparse su un fronte di circa 3 km e distanti da 2 a 4 km dal serbatoio. In queste zone, in realtà, risultavano affioramenti di acque anche precedentemente alla costruzione del serbatoio, e dall'esame geologico a suo tempo effettuato dal Prof. Vardabasso non era emersa alcuna connessione fra questi e il bacino d'invaso. Poiché però gli affioramenti aumentarono col riempimento parziale del serbatoio, fino ad interessare una superficie di circa 130 ettari, si cercò nell'immediato di rimediare agli allagamenti determinatisi nei centri di Palmas e Villarios, e oltre a questo di individuare le cause e le vie di comunicazione e di alimentazione degli acquitrini.
Tra il luglio del 1951 e il febbraio del 1952 furono realizzate nei due centri abitati, lungo le strade nelle quali si era manifestata la risalienza delle acque sotterranee, delle reti di drenaggi con ramificazioni anche nell'interno delle abitazioni maggiormente danneggiate. Durante l'estate del 1952, a seguito di nuovi affioramenti in zone marginali rispetto a quelle risanate, fu necessario ampliare ulteriormente le reti di drenaggi. Furono anche eseguite opere di bonifica degli acquitrini nelle campagne tra Palmas e Villarios, in realtà già previste anche prima che si manifestassero le perdite dal serbatoio di Monti Pranu, e tuttavia realizzate con più urgenza, a partire dalla seconda metà del 1952, una volta osservato l'aggravarsi degli affioramenti.
Nell'ambito delle indagini finalizzate ad approfondire lo studio del fenomeno e a localizzarne l'origine, a cura della ICOS di Milano, Impresa incaricata degli studi geognostici finalizzati all'impermeabilizzazione del bacino, furono eseguite una serie di trivellazioni nella roccia, di cui 20 all'esterno e 7 all'interno del serbatoio. Nei 20 fori all'esterno del lago, praticati a circa 300 metri di distanza dalle sponde, furono eseguite prove di assorbimento; nelle 7 perforazioni interne, realizzate sul finire del 1952 previo svaso del serbatoio, furono eseguite prove di assorbimento e iniettate materie coloranti, da ricercare nei fori esterni all'invaso. Si procedette inoltre al confronto continuativo fra livelli e temperature nel lago e nelle stazioni di controllo a valle, in corrispondenza di sondaggi, pozzi di campagna e affioramenti, e a misure di portata dei drenaggi realizzati a Palmas e Villarios. Da tali studi ed indagini emerse il convincimento che le permeazioni avvenissero principalmente attraverso la massa trachitica della sponda sinistra del bacino, nella zona prossima alla diga principale, ove la roccia si presenta meno compatta e con fessurazioni di varia entità. Non si escludeva, tuttavia, che le perdite potessero interessare anche altre zone, soprattutto a seguito del successivo maggiore invaso del bacino.
Il rimedio di prima istanza (proposto già nel 1954 in una relazione della ICOS sulle prime risultanze degli studi eseguiti, ma effettivamente eseguito solo negli anni 1959-60), sarebbe consistito nel risanamento della roccia fessurata con iniezioni impermeabilizzanti.
Con l'invaso limitato a 35,00 m s.l.m., le opere di drenaggio e di scolo eseguite nei centri di Palmas e Villarios e nelle campagne tra i due abitati sembravano aver ottenuto l'obiettivo dell'allontanamento delle acque risalienti e la bonifica delle zone servite dalla rete drenante. Tuttavia, con l'ultimazione delle dighe di Case Miais e Bavorada, l'autorizzazione dell'invaso totale del bacino e il raggiungimento del massimo riempimento agli inizi del 1958, il problema degli affioramenti si ripropose in termini ben più gravi. Né valse a ridurre significativamente il fenomeno l'esecuzione delle previste iniezioni di impermeabilizzazione della sponda sinistra secondo le indicazioni della ICOS. Il problema delle perdite dal bacino di Monti Pranu rimane tutt'oggi irrisolto, anche perché dopo le iniezioni del 1959-60 non furono eseguiti ulteriori interventi di impermeabilizzazione, quanto piuttosto interventi di drenaggio e bonifica delle campagne allagate nei comuni di Tratalias, Giba e San Giovanni Suergiu. Secondo una recente valutazione dell'Ente Acque della Sardegna, attuale gestore della diga di Monti Pranu, la risorsa idrica che ogni anno va perduta dal bacino per via sotterranea sarebbe stimabile mediamente in 10 milioni di metri cubi.
I maggiori affioramenti derivati dal riempimento dell'invaso resero sempre più insostenibile il problema degli affioramenti nei centri di Palmas e Villarios. Il 14 aprile 1959, un promemoria del Consorzio di Bonifica del Basso Sulcis indirizzato al Prefetto di Cagliari evidenziava la necessità che i due centri abitati fossero spostati in zone non interessate dagli allagamenti. A ciò si provvide negli anni successivi. Negli anni 1960-62 venne realizzata la nuova borgata di Palmas; negli anni 1965-67 quella di Villarios. Le case dei vecchi borghi, rese malsane dagli affioramenti, furono demolite.
Anche nell'abitato di Tratalias furono a lungo lamentati problemi di umidità nelle case, da parte dei cittadini, del sindaco, del medico o di organi di stampa locali e nazionali che ne riferivano talora in termini drammatici.
Si tratta in realtà di denunce mai corredate di riscontri tecnici che dimostrassero il nesso causale tra il riempimento dell'invaso e l'insalubrità delle abitazioni. Naturalmente, è del tutto credibile che vi fossero a Tratalias numerose case con seri problemi di umidità, ma è anche verosimile che in molti casi si trattasse di vecchie abitazioni di tipo rurale, prive di qualunque impermeabilizzazione alla base delle murature e di vespaio sotto le pavimentazioni, se non anche di una copertura a perfetta tenuta.
Ad ogni modo, la lotta dei trataliesi per avere anche loro un paese nuovo ebbe infine successo, e negli anni 1975-87 fu edificato un nuovo abitato dove l'intera popolazione fu trasferita. Nel vecchio borgo abbandonato, a partire dal 1991, si mise mano alle demolizioni, fino a quando la Soprintendenza ai beni culturali, con decreto del 7 febbraio 1997, dichiarò i resti del vecchio borgo di Tratalias di particolare interesse storico-artistico, in quanto testimonianza storica dell'antico borgo medievale che si integra con la bellissima chiesa romanica di Santa Maria di Monserrato, risalente al XIII secolo.
Negli ultimi vent'anni non si è più parlato di affioramenti a Tratalias vecchia. E' stato anzi varato nel 2003 un Piano particolareggiato di esecuzione che ha come obiettivo “individuare nel centro storico una nuova destinazione dei fabbricati esistenti legata alla riconversione degli spazi e delle volumetrie a fini ricettivi, turistici, museali, artigianali con potenzialità notevoli coinvolgendo tutta l’area del Sulcis”, in modo da sviluppare “attività che fungano da elemento di attrazione permanente e non più a solo scopo residenziale ma promovendo attività culturali e ricettive”. Si sta dunque riqualificando quanto rimane del vecchio borgo per destinare le case abbandonate ad attività culturali e produttive (museo, albergo diffuso, ristoranti, botteghe artigianali). Il tutto, negli auspici del Comune, affidato in concessione a un soggetto privato che avrebbe il non facile compito di convincere potenziali turisti a programmare un soggiorno in un centro storico non più vissuto e senza più il paese intorno.
Ringrazio con molto affetto il collega ed amico Alessandro Sulas, dell'Ente Acque della Sardegna, prezioso depositario di ogni memoria storica riguardante la diga di Monti Pranu, per le foto, le tavole e i documenti di archivio messi a mia disposizione.