Abba Luchente, la strategia dell’assurdo

Planimetria PD Abba Luchente Planimetria della diga di Abba Luchente, secondo il Progetto definitivo agosto 2004

Pocos, locos y mal unidos”. Da quando Carlo V (o, più realisticamente, un ambasciatore spagnolo del secolo successivo) indirizzava ai sardi il suo famoso e impietoso stigma, i sardi si sono sempre affannati a smentirlo con le parole e a confermarlo con i fatti, soprattutto da quando è stato dato loro il giusto diritto, ma anche la conseguente responsabilità, di esprimere i propri rappresentanti.

La storia delle dighe e, più in generale, delle grandi opere in Sardegna, ha sempre posto in luce una cronica inadeguatezza della classe dirigente locale, dovuta non tanto a carenze culturali o ad assenza di personalità dotate di talento, preparazione e spinta ideale, quanto all’atavica incapacità dei sardi e del proprio notabilato di fare sistema, di mettere da parte, o comunque comporre, le differenze di vedute e gli interessi confliggenti in vista di un fine superiore, a vantaggio di tutti.

I sardi si vantano di vivere nell’Isola dei laghi; ed è vero: la somma dei volumi di invaso delle “grandi dighe” sarde (le opere di sbarramento che superano 15 metri di altezza o che determinano un volume di invaso superiore a un milione di metri cubi) ammonta a circa 2.300 milioni di metri cubi. Tra le regioni italiane è il valore più alto se si escludono, per la Lombardia, i volumi di invaso ottenuti realizzando delle traverse sugli emissari dei grandi laghi naturali (Lago di Garda, Lago Maggiore, Lago di Como e Lago d’Iseo). Al secondo posto c’è la Sicilia, con 1.100 milioni di metri cubi invasabili. La Sardegna piazza ben quattro dighe fra le sette maggiori in Italia per dimensioni dell'invaso (Cantoniera sul Tirso prima, Monte su Rei sul Mulargia terza, Nuraghe Arrubiu sul Flumendosa quarta, Muzzone sul Coghinas settima). «La Sardegnascriveva l’Ing. Omodeo nel 1923è la regione d’Italia di gran lunga più adatta alla creazione di grandi laghi artificiali, per le sue formazioni fondamentalmente impermeabili, costituite da rocce antiche, graniti e scisti, resistenti e compatte; per il letto allungato dei fiumi a dolce e lento pendio; per le vallate nel loro corso alternativamente ampie, oppure profondamente incassate a seconda della durezza delle rocce, che le acque scavarono più o meno largamente nel lavorio di millenni; infine per la povertà dei terreni granitici quasi completamente incolti, la cui sottrazione alla agricoltura col diventare sede di lago, rappresenta un danno trascurabile in confronto degli immensi vantaggi ottenibili (…) Il Tirso, il Coghinas, il Flumini Mannu, il Temo, il Flumendosa, il Cedrino, altri ed altri fiumi minori comportano nel loro bacino laghi numerosi, complessivamente capaci di miliardi di m³ e sufficienti a immagazzinare l’acqua copiosamente perduta, ed a riversarla nell’ampia distesa dei terreni che oggi poco o nulla producono perché asciutti».

Ma la realizzazione dei grandi invasi artificiali in Sardegna ha sempre avuto bisogno di un catalizzatore esterno, che poteva essere Omodeo e il Gruppo sardo di Dolcetta, la SES, poi la CASMEZ, ma sempre un soggetto in grado di conseguire di per sé il completamento delle opere, grazie ad una capacità tecnica, economica e anche politica che gli consentiva di utilizzare e coordinare quanto le amministrazioni e le classi dirigenti e possidenti locali potevano offrire, ma anche di prescinderne, all’occorrenza, tenendosi immune da carenze, particolarismi e ingerenze politiche.

Finita la stagione della Cassa per il Mezzogiorno, la pianificazione delle grandi opere idrauliche che ancora mancano nella regione, prima col Piano delle Acque del 1988 e poi col Piano stralcio di bacino regionale per l’utilizzo delle risorse idriche (PSURI) del 2002 è diventata solo un esercizio di fantasia. Dei 38 nuovi invasi previsti dal Piano delle Acque hanno raggiunto la fase attuativa (leggasi l’apertura del cantiere, ma non ancora il completamento), solo quelli dell’Alto Cedrino e dei Rii Monti Nieddu e Is Canargius; dei 12 nuovi invasi previsti nel PSURI nessuno ha raggiunto la fase attuativa. Eppure servirebbero, altroché se servirebbero. Servirebbero per proteggere i territori vallivi da eventi di piena che il cambiamento climatico rende talora imprevedibilmente violenti e distruttivi; servirebbero per rendere più certo e costante l’approvvigionamento idrico e meno rischiosi gli investimenti; servirebbero per colmare la disparità di risorse idriche disponibili tra le aree servite dai grandi invasi a regolazione pluriennale e le aree meno servite, disparità che diventa più insopportabile negli anni di mancanza o scarsità di piogge: un anno siccitoso non mette in ginocchio l’Oristanese, servito dalla diga Cantoniera che invasa le acque del Tirso, né mette in ginocchio il Cagliaritano, servito dal sistema di grandi bacini Flumendosa-Campidano-Cixerri (e anche, a fini potabili in condizioni di emergenza, dalla stessa Cantoniera), ma certo mette in ginocchio la Baronia.

E infatti, tra tutte le dighe inutilmente pianificate dalla Regione Sarda, forse la più necessaria in conseguenza della diminuzione osservata dei deflussi, della crescita dei fabbisogni e dell’aumentata virulenza dei maggiori eventi di piena è la diga di Abba Luchente sul Posada, un nome poetico, forse il più bello mai pensato per una diga, e una storia che largamente travalica i limiti dell’assurdo.

Fin dai primi anni ’30 del 900 l’allora Consorzio di Bonifica del Nuorese, al fine di favorire lo sviluppo agricolo della Baronia, intraprese i primi studi per l’utilizzazione dei corsi d’acqua della zona a scopo irriguo. Tuttavia, gli studi e i progetti allora elaborati non ebbero seguito.

Nel secondo dopoguerra, il Consorzio incaricò lo Studio tecnico S.D.D. (Sironi, De Santis, De Martino) di Milano di rielaborare un piano generale di massima che permettesse di affrontare e risolvere il problema irriguo di quel territorio, particolarmente suscettibile di miglioramento. Il progetto di massima dello Studio S.D.D., presentato nel 1950, prevedeva l’utilizzazione delle acque del Posada mediante la costruzione di una diga di ritenuta il cui invaso, oltre ad alimentare la rete irrigua, per un totale di 1.300 ettari irrigati 165 giorni all’anno, avrebbe consentito una regolazione parziale delle piene. Inoltre era prevista anche la sistemazione idraulico-valliva dell’alveo del Posada.

In particolare, il progetto proponeva una diga a gravità massiccia in località San Giovanni, circa tre chilometri a ovest dell’abitato di Torpè (a valle dell’odierna diga di Maccheronis), dove il corso vallivo presenta un marcato restringimento, e dove tutt’oggi è situato il guado detto, appunto, di San Giovanni. In alternativa veniva presentata, per l’ubicazione della diga, la stretta in località Giunturas, poco a valle della confluenza tra il Posada e il Rio Mannu di Bitti, ai piedi del rilievo denominato Punta Abba Luchente. Il Progettista esprimeva la sua preferenza per la stretta di San Giovanni, ritenuta la più idonea ed economicamente conveniente.

Il Consorzio, nel mese di febbraio del 1951, trasmise alla Cassa per il Mezzogiorno il progetto di massima, poi sottoposto anche all’esame del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Il mese successivo, in aderenza al voto dello stesso Consiglio Superiore, la CASMEZ restituiva al Consorzio l’elaborato unitamente ad una relazione contenente riserve, proposte e suggerimenti. Riguardo alla finalità del serbatoio, mentre si condivideva l’utilizzazione delle acque del Posada a fini irrigui mediante la costruzione di un’opera di ritenuta sul fiume, veniva rilevata l’inopportunità di assegnare al serbatoio anche la funzione di moderatore delle piene, ritenendo questa ipotesi antieconomica sulla base degli studi fino ad allora condotti. Si raccomandava piuttosto lo studio di idonei provvedimenti di continua e regolare manutenzione dell’alveo a valle dello sbarramento, così da mantenerne la capacità di convogliare i previsti 2.100 m³/s di portata. In ogni caso, ove si fossero poi riscontrate deficienze in tal senso, gli interventi avrebbero dovuto essere orientati verso il sovralzo o lo spostamento degli argini.

Maccheronis Panoramica da valle della diga di Maccheronis nel corso dei lavori di ampliamento del serbatoio. Sulla destra (sinistra idraulica) il nuovo sfioratore di superficie. A sinistra, lo sbarramento originario, capitozzato in attesa della ricostruzione dei conci sfioranti modificati

Circa l’ubicazione della diga, la relazione della Cassa richiedeva al Progettista uno studio più approfondito, che meglio documentasse la convenienza di adottare l’una o l’altra soluzione. Si faceva osservare, in proposito, che seppure la diga realizzata a Giunturas avrebbe richiesto uno sviluppo maggiore del canale di derivazione, la più favorevole situazione di imposta rispetto alla stretta di San Giovanni consentiva una sensibile economia negli scavi di fondazione, ed inoltre la maggiore quota poteva permettere un’eventuale utilizzazione a fini idroelettrici. Successivamente, istituito un più rigoroso confronto economico fra le due soluzioni, la Cassa dava senz’altro la preferenza all’imposta della diga a Giunturas-Abba Luchente, e ne dava comunicazione al Consorzio nel settembre del 1951.

Sulla base dei rilievi predetti, il Consorzio incaricò lo Studio tecnico S.D.D. di un’ulteriore progettazione di massima delle opere di invaso e derivazione delle acque del Posada a fini irrigui che tenesse conto delle riserve e proposte avanzate dalla Cassa. Si giunse così ad un nuovo progetto di massima, presentato nel mese di luglio 1952, che a differenza dei precedenti studi proponeva l’ubicazione della diga alla stretta di Maccheronis, intermedia fra le due precedentemente considerate, che risultava più idonea di quella di San Giovanni riguardo alle caratteristiche geologiche e morfologiche dell’imposta, e offriva una ubicazione logisticamente più favorevole della stretta di Giunturas-Abba Luchente, che si traduceva in un vantaggio economico derivante non solo da un minor sviluppo delle canalizzazioni di circa 10 km, ma anche, riguardo ai lavori di costruzione, dalla minore incidenza delle spese di trasporto dei materiali e delle installazioni di cantiere.

Fu così che, sia pure con diverse modifiche richieste dalla Cassa nel dispositivo del maggio 1953 con cui approvò il progetto di massima luglio 1952, si giunse al progetto esecutivo dicembre 1954 e infine, con alcune modifiche suggerite dal Servizio Dighe e prescritte dal Consiglio Superiore nel voto di approvazione, alla costruzione della diga di Maccheronis. I lavori ebbero inizio il 1° agosto 1956 e terminarono il 9 gennaio 1960. L’invaso aveva una capacità di 27,80 milioni di metri cubi, di cui 25 utili. A questi si riteneva di dover sottrarre 4 Mm³ per evaporazione nel corso della stagione asciutta. Con questi volumi si pensava di poter irrigare a regime un comprensorio di 4.300 ettari. Il volume d’acqua occorrente agli usi irrigui era calcolato in 27,70 Mm³ all’anno, cui si sarebbe fatto fronte, a causa della deficienza del volume utile netto disponibile, con gli afflussi nel semestre irriguo. Con i lavori di ampliamento del serbatoio, attualmente in fase di completamento, la capacità dell’invaso sarà portata a 32,30 Mm³, di cui 29,45 utili, con un incremento di 4,50 Mm³. Il comprensorio irriguo servito si è nel frattempo esteso a 5.700 ettari.

Maccheronis La diga di Maccheronis in costruzione nella seconda metà degli anni ’50. Durante lo scavo, in corrispondenza dell’alveo, fu trovata una marmitta di erosione di notevoli dimensioni e profondità (a destra), il cui riempimento richiese complessivamente un maggior volume di calcestruzzo di circa 10.000 metri cubi

La portata incidente di progetto, stimata come “portata di piena catastrofica” non associata a un tempo di ritorno, fu valutata in 2.670 m³/s, e questo valore fu assunto a base del dimensionamento degli scarichi. Lo sfioratore principale con soglia a quota 43,00 m s.l.m., privo di paratoie, in corrispondenza della quota di massima piena, assunta pari a 46,50 m s.l.m., era capace di scaricare a valle 2.643 m³/s; lo sfioratore di alleggerimento, con soglia a quota 40,50, presidiato da una paratoia a settore con altezza di ritenuta di 2,50 metri, era capace di scaricare ulteriori 299 m³/s in corrispondenza della quota di massima piena. La capacità complessiva degli scarichi di superficie ammontava perciò a 2.942 m³/s.

T (anni) Q(T) (m³/s) V(T) (Mm³)
50 2.618 79
100 3.066 92
200 3.489 105
500 4.072 123
1.000 4.653 140

Le rivalutazioni idrologiche condotte a seguito dell’evento di piena catastrofico conseguente al ciclone Cleopatra del 18 novembre 2013, hanno portato ad un forte aumento della portata di progetto della diga di Maccheronis, indicata oggi in 4.653 m³/s in termini di portata di picco con tempo di ritorno T = 1.000 anni, con un volume di piena corrispondente di 130÷140 Mm³. I valori aggiornati della portata di picco Q(T) e del volume di piena V(T) corrispondenti a tempi di ritorno inferiori possono leggersi nella tabella a lato (rif.: Studio Ing. Pietrangeli – Roma, Intervento di completamento dei lavori di ampliamento del serbatoio di Maccheronis, Progetto definitivo giugno 2021 – Relazione specialistica idrologica). Al valore aggiornato della portata millenaria, o meglio al suo valore in termini di portata laminata dal serbatoio, pari a 4.446 m³/s, hanno dovuto essere adeguati gli scarichi superficiali della diga nell’ambito degli interventi di ampliamento del serbatoio.

Questa esposizione di informazioni e cifre sulla diga di Maccheronis in un racconto che riguarderebbe la mancata realizzazione della diga di Abba Luchente potrebbe sembrare inutilmente dettagliata e prolissa se non fosse funzionale a trarre alcune conclusioni che valgono come premesse alla vicenda di Abba Luchente:

  1. La capacità del serbatoio di Maccheronis, sulla base del progetto originario, nemmeno è sufficiente a soddisfare il fabbisogno di un solo anno del comprensorio servito, per la cui copertura si deve far conto sugli afflussi della stagione irrigua. Considerato l’incremento dei fabbisogni e la riduzione dei deflussi dagli anni ’50 ad oggi, la situazione non cambierà in modo sostanziale al completamento dei lavori di ampliamento del serbatoio.
  2. Tra le funzioni della diga di Maccheronis non è mai stata compresa quella della regolazione delle piene. Dunque, utilizzare parte della capacità del bacino di Maccheronis per regolare le piene significherebbe sacrificare pesantemente le utenze, assegnando al serbatoio una funzione incongrua e non prevista all’atto del suo dimensionamento.
  3. Del resto, svasi programmati del bacino di Maccheronis a fini di regolazione delle piene sarebbero del tutto inutili a fronte di una piena di qualche rilevanza: dalla tabella sopra riportata, si osserva che già il volume di piena di un evento cinquantennale sarebbe pari, prevedibilmente, a due volte e mezzo l’intera capacità del bacino di Maccheronis.
  4. Si osserva peraltro che l’aumento della violenza dei maggiori eventi di piena prevedibili, dovuto soprattutto al cambiamento climatico e ai più frequenti cicloni tropicali mediterranei che ne derivano, è stato tale che la portata di colmo Q(T) = 2.618 m³/s dell’evento oggi considerato cinquantennale, cioè atteso una volta ogni 50 anni, è dello stesso ordine di grandezza di quella che negli anni ’50 si pensava fosse la “portata di piena catastrofica”, la più alta immaginabile: 2.670 m³/s.
  5. L’idoneità della stretta di Abba Luchente ad ospitare una diga di ritenuta era ben presente, già negli anni ’50, alla Cassa per il Mezzogiorno e al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (oltre che al Prof. Silvio Vardabasso, eminente consulente geologo dello Studio tecnico S.D.D. di Milano), in ragione delle favorevoli condizioni di imposta – graniti compatti affioranti sul fondo e sulle sponde e ampiezza della stretta relativamente contenuta – e dell’impermeabilità del bacino di invaso.
Maccheronis Il Sub-comprensorio del Posada (Immagime dal sito web del Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale)

Nel 1988 fu pubblicato il Piano delle Acque. Nell’ambito delle elaborazioni compiute ai fini della pianificazione delle risorse idriche in Sardegna, l’Isola veniva suddivisa in sette zone idrografiche, la quinta delle quali comprendeva i corsi d’acqua Posada e Cedrino. In realtà, per questa zona idrografica, il bilancio tra risorse e fabbisogni di lungo periodo veniva disaggregato in due sub-zone, coincidenti con i rispettivi bacini imbriferi dei due corsi d’acqua. Il fabbisogno globale annuo assegnato alle risorse del Posada era così definito:

  • per uso potabile (Schema n. 11 del Nuovo Piano Regolatore Generale degli Acquedotti) 6,89 Mm³;
  • per uso industriale (Z.I.R. di Siniscola) 5,28 Mm³, dei quali, tuttavia, 3,44 Mm³ si pensava potessero provenire da impianti di riciclo, col che il fabbisogno effettivo annuo si riduceva a 1,84 Mm³;
  • per uso irriguo (piana di Siniscola-Posada-Torpè, più Capo Comino, San Teodoro e Budoni, per complessivi 7.495 ettari di superficie territoriale lorda e 5.464 ettari di superficie irrigabile netta, dei quali 3.750 già attrezzati all’epoca) 31,32 Mm³.

Totale: 40,05 Mm³/anno. Poiché l’esistente invaso di Maccheronis non era palesemente in grado di soddisfare una domanda complessiva di tale entità, il Piano delle Acque previde un secondo serbatoio artificiale, formato da un nuovo sbarramento sul Posada nella stretta di Abba Luchente.

Circa le dimensioni da assegnare al nuovo serbatoio, le ipotesi esaminate furono diverse. Atteso che dal confronto di risorse naturali e fabbisogni della zona idrografica Posada-Cedrino risultava un saldo attivo di oltre 200 Mm³ annui, si valutò l’ipotesi di assegnare ad Abba Luchente una funzione di riserva strategica, con un invaso che consentisse di utilizzare dal 50% dei deflussi naturali (capacità del serbatoio: 145,90 Mm³) all’80% dei deflussi naturali (capacità necessaria: 328,50 Mm³). Questo grande invaso avrebbe potuto contribuire ad incrementare le risorse della zona Tirso al fine di compensare con tali risorse il deficit naturale delle zone meridionali dell’Isola. Il trasferimento, tuttavia, non si presentava agevole, per la presenza di uno spartiacque elevato e notevolmente esteso in direzione trasversale che avrebbe richiesto lunghe gallerie di valico e sollevamenti consistenti. In fase di ottimizzazione del sistema di invasi previsti nel Piano, finalizzata alla ricerca della soluzione di minimo costo complessivo, al grande invaso di Abba Luchente furono perciò preferite altre ipotesi di intervento, almeno in prima istanza, e il valore che fu assegnato alla capacità del serbatoio fu quello strettamente necessario al soddisfacimento delle utenze del sub-comprensorio: 21 Mm³.

Sulla base di quanto previsto dal Piano delle Acque, la Regione Autonoma della Sardegna nel mese di dicembre del 1991, su richiesta del Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale, concesse al Consorzio medesimo un finanziamento di 1 miliardo di lire (poco più di 1 milione di euro del 2024) per eseguire gli studi e le indagini necessarie all’accertamento della fattibilità tecnico-economica della diga ad Abba Luchente e dell’invaso artificiale. Gli studi, consistiti in indagini geofisiche e geognostiche, rilievi fotogrammetrici, prove di laboratorio e consulenze geologica e ingegneristica, si conclusero nel settembre 1994.

Sul finire del 1994 la Regione dispose un ulteriore finanziamento di 270 milioni di lire (circa 255.000 euro attuali) per la progettazione preliminare e lo studio di impatto ambientale.

Dighe Piano Acque I 75 grandi invasi della Sardegna contemplati nel Piano delle Acque (...)

Il progetto preliminare, redatto dallo Studio Binaghi di Cagliari, fu completato nel dicembre del 1998. Il progetto riportava in premessa un’analisi delle vicende climatiche del periodo 1975-95 in Sardegna che poneva in luce la necessità di un aggiornamento delle previsioni del Piano delle Acque, in massima parte basate sulle risultanze dello Studio dell’Idrologia Superficiale della Sardegna (1980), la cui base dati si riferiva al periodo 1922-1975. Si osservava come il ventennio successivo al 1975, e in particolare gli eventi di estrema magra dei nove ultimi anni idrologici del periodo (1986-95), avessero messo in drammatica evidenza una significativa ed imprevedibile flessione dei parametri idrologici fondamentali nei loro valori medi, massimi e minimi, flessione che si osservava in modo generalizzato in tutta l’Isola, sia pure in misura diversa nei vari bacini imbriferi, con più frequenti, prolungati e pesanti periodi siccitosi, particolarmente gravi e drammatici nel biennio 1988-90 e nell’anno idrologico 1994-95; quest’ultimo, nella maggior parte dei bacini imbriferi dell’Isola, aveva segnalato le magre più gravi in assoluto di oltre 70 anni di osservazioni.

Il fenomeno si era ovviamente registrato anche nel bacino del Posada, ma leggermente attenuato nei confronti di quanto era avvenuto nei grandi bacini imbriferi centro-meridionali (Tirso, Flumendosa, Fluminimannu); in questi ultimi, la flessione del deflusso medio degli ultimi nove-dieci anni si attestava intorno al 55% del valore medio del periodo 1922-75; nel Posada, invece, la flessione risultava più contenuta, e valutabile intorno al 35%.

Pur con la flessione dei deflussi osservata, il Posada manteneva comunque un saldo attivo dei deflussi naturali rispetto ai fabbisogni, che più che mai sarebbe stato prezioso per supplire alle deficienze osservate in altre zone idrografiche; in particolare la zona IV (Sardegna Nord-orientale), dove l’invaso del Liscia e le capacità previste nel Piano delle Acque per i progettati invasi sul Vignola e sul Rio San Simone non risultavano più in grado di soddisfare la domanda di lungo periodo del territorio servito. Peraltro, dimensionando adeguatamente la capacità dell’invaso di Abba Luchente, si sarebbe anche potuto prescindere del tutto dalla realizzazione delle dighe sul Vignola e sul Rio San Simone: i volumi idrici necessari a coprire i fabbisogni avrebbero potuto provenire tutti dal Posada.

Con queste premesse, e tenuto conto delle incertezze connesse alla necessità di rielaborare il Piano delle Acque in conseguenza delle vicende idrologiche successive al periodo 1922-75, nel progetto preliminare della diga di Abba Luchente si ritenne di dar conto della fattibilità tecnico-economica non di un unico sbarramento, con una ben precisa capacità di regolazione, ma di tre possibili strutture, corrispondenti a diversi valori della capacità di invaso (20, 72 e 122,5 Mm³), e quindi dei volumi derivabili.

Circa l’impatto ambientale, destinato ad essere approfondito in uno studio apposito, il progetto preliminare ritenne comunque di esporre alcune considerazioni preliminari, concernenti gli aspetti più rilevanti delle modifiche che l’invaso e la diga avrebbero prodotto sul territorio e sull’ambiente in senso lato. Si rilevava anzitutto:

  • che la costruzione di un secondo invaso sul Posada era in ogni caso indispensabile se si voleva soddisfare il fabbisogno idrico previsto per i vari usi;
  • che, premesso quanto sopra, sarebbe stato senz’altro molto conveniente, anche dal punto di vista dell’impatto ambientale, realizzare un solo invaso sul Posada, piuttosto che tre serbatoi sul Vignola, sul Rio San Simone e sul Posada medesimo.

Più in particolare, si osservava che il valore economico dei suoli che sarebbero stati sommersi era assai modesto, in quanto per la massima parte rocciosi o inadatti alle coltivazioni; inoltre, anche dal punto di vista delle emergenze antropiche e di quelle storico-culturali, nelle valli che sarebbero state sommerse non si rintracciavano situazioni di rilievo.

Quanto alla diga, prevista a gravità massiccia con cinque conci tracimanti, la scelta progettuale di un manufatto che consentiva di unificare in un unico blocco lo sbarramento, le opere di scarico e la presa, contribuiva a rendere minime le interferenze delle strutture sull’ambiente.

Infine, la notevole entità delle risorse idriche del fiume, anche nel caso si fosse attuata la soluzione più spinta per la capacità d’invaso, avrebbe lasciato disponibile ancora una quota significativa delle risorse medesime (~33%), che l’invaso avrebbe potuto regolare e lasciar defluire a valle, migliorando addirittura le condizioni biologiche del corso d’acqua, di norma sottoposte a lunghi periodi estivi di assenza pressoché totale di flusso idrico.

Nel complesso, affermava il Progettista, il nuovo invaso di Abba Luchente dal lato tecnico-economico era senza dubbio la migliore soluzione per soddisfare la domanda d’acqua del comprensorio di Torpè - Posada - Siniscola, ed anche della zona a Sud di Olbia, e dal punto di vista ambientale l’impatto sarebbe stato contenuto in limiti accettabili in rapporto alla funzionalità delle opere.

Con Determinazione presidenziale in data 24 dicembre 1998, il Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale approvò il progetto preliminare dello Studio Binaghi, prediligendo la soluzione intermedia: invaso di 72 Mm³, quota di ritenuta a 109,60 m s.l.m., altezza strutturale della diga 64,10 m, erogazione annua prevista di 76 Mm³, comprensiva anche di estendimenti fuori comprensorio per uso potabile ed irriguo.

Dighe PSURI I 12 nuovi invasi della Sardegna contemplati nel Piano stralcio di bacino (...)

Nel novembre del 2000 la Regione dispose un nuovo stanziamento di 1,7 miliardi di lire (1,37 milioni di euro attuali) per la redazione del progetto definitivo, dello studio sulle onde di piena artificiali per collasso della diga o manovre improvvise degli scarichi e dello studio di impatto ambientale.

La gara d’appalto per l’affidamento del servizio di “progettazione e indagini geognostiche per l’allestimento del progetto definitivo, dello studio per la V.I.A., e delle relazioni geologica e geotecnica, idraulica, idrologica e sismica, per i rilievi planoaltimetrici e per la redazione del piano particellare di esproprio” relative alla realizzazione della nuova diga di Abba Luchente si concluse nell’estate del 2002. Risultò aggiudicataria l’A.T.I. capeggiata da Lombardi S.A. (Minusio, Svizzera). In realtà i costi delle attività di indagine e di studio necessarie si rivelarono superiori a quanto inizialmente previsto, e ciò richiese, da parte della Regione, un finanziamento integrativo, che fu deliberato nel mese di novembre 2003.

Nel frattempo, nel 2002, la Regione, nella persona del Presidente, che rivestiva anche la funzione di Commissario Governativo per l’Emergenza idrica in Sardegna, varò il Piano stralcio di bacino regionale per l’utilizzo delle risorse idriche (PSURI), redatto ai sensi della Legge n. 183/1989. Il PSURI, come sopra detto, prevedeva la realizzazione di 12 nuovi invasi. Tra questi, Posada ad Abba Luchente (capacità prevista: 64,5 Mm³, un po’ meno dei 72 Mm³ contemplati nel progetto preliminare dicembre 1998), Vignola a La Balestra (capacità: 28,3 Mm³) e Rio San Simone a Monte Alvo (capacità: 15 Mm³).

Il progetto definitivo della diga di Abba Luchente, completato nel mese di agosto del 2004, sostanzialmente si attenne alle indicazioni del PSURI, prevedendo una capacità di invaso di 65,6 Mm³, derivante dalle risultanze delle valutazioni idrologiche aggiornate, che indicavano in 52 Mm³ la capacità utile di invaso necessaria per soddisfare i fabbisogni non coperti dall’invaso di Maccheronis. Aggiungendo alla capacità utile predetta 3,6 Mm³ di acque morte e un volume strategico addizionale di 10 Mm³ al fine di tener conto di un’ulteriore evoluzione negativa della situazione meteo-climatica, si arrivava ai 65,6 Mm³ di capacità complessiva.

Nel mese di dicembre 2004 il Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale presentò al Servizio Nazionale Dighe, ai fini dell’approvazione prevista dalle disposizioni normative, il progetto definitivo della diga. Nell’ambito dell’istruttoria del fascicolo, il Servizio Nazionale Dighe richiese, ai sensi delle medesime disposizioni normative, il parere del Servizio Idrografico della Regione, ufficio dell’Assessorato dei Lavori Pubblici, riguardo alla portata di massima piena prevista nel progetto. Il parere del Servizio Idrografico non sarebbe mai arrivato. L’inutile attesa del necessario parere del Servizio Idrografico, pur dilatando i tempi dell’istruttoria, non fu tuttavia l’elemento che avrebbe sospeso sine die il progetto della diga di Abba Luchente (il Servizio Idrografico prima o poi, magari su sollecitazione di organi superiori, il parere l’avrebbe rilasciato). Ciò che avvenne nel 2004, con l’insediamento di una nuova Amministrazione regionale votata ad un ecologismo più irriflessivo che intransigente, fu il definitivo eclissarsi della Regione dai piani di utilizzazione delle risorse idriche da essa stessa predisposti. Ancora una volta sardi contro sardi; sardi impegnati a vanificare ciò che altri sardi avevano in tanti anni studiato, programmato, intrapreso e finanziato.

Ceresole Reale Parco nazionale del Gran Paradiso, la diga di Ceresole Reale in costruzione nella seconda metà degli anni ’20

Per la diga di Abba Luchente, lo strumento destinato a porre la pietra tombale sulla sua realizzazione fu l’istituzione del Parco naturale regionale di Tepilora, comprendente nel suo perimetro, per buona parte, l’invaso che la diga avrebbe creato.

Ma un parco naturale potrebbe mai convivere con una diga? Di norma sì. Nel Parco nazionale del Gran Paradiso ci sono tre laghi artificiali formati da grandi dighe (Ceresole Reale, Serrù e Agnel), tutte realizzate dopo l’istituzione del parco; nel Parco nazionale dello Stelvio, analogamente, ci sono due laghi artificiali formati da grandi dighe (Cancano e San Giacomo di Fraele) entrambe realizzate dopo l’istituzione del parco. Altri parchi nazionali sono nati intorno a laghi artificiali che ne costituiscono attrattiva ed orgoglio. Così il Lago di Campotosto, formato dalle tre dighe del Rio Fucino, di Poggio Cancelli e di Sella Pedicate, “incastonato nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga”, del quale il Comune omonimo vanta gli scenari mozzafiato e i primati: “è il più grande lago artificiale d’Italia, il secondo in Europa” (in realtà è solo l’ottavo in Italia; certi primati spettano a noi, anche se poco ce ne vantiamo).

Ma in Sardegna la logica è diversa: o si fanno parchi o si fanno dighe; anzi, per molti si fanno i parchi proprio per finirla di fare dighe. Ma perché così tanti ce l’hanno con le dighe? In fondo, cosa sarebbe la Sardegna senza i suoi laghi artificiali? Il fatto è che la costruzione di una diga non è un’operazione win-win; quando si forma un lago artificiale moltissimi ci guadagnano, ma molti ci perdono. In modo particolare ci perdono tutti coloro che vedono i loro terreni, i loro paesaggi, e talora le loro case, i loro cimiteri, la loro storia, la loro economia sommersi dalle acque del nuovo lago: «Che prepotenze eran quelle? che soprusi? che tirannie? Da quando era lecito seppellire così capricciosamente tante migliaia di ettari di terra che Iddio aveva lasciata scoperta perché potesse produrre il pane a tanta povera gente e procurare il benessere a tanti cristiani? Quale vantaggio si avrebbe violentando così la natura? Quali sarebbero gli effetti di quella mania da mentecatti?» [Pietro Casu, Aurora sarda, 1922].

Michele Columbu Aprile 1965, Michele Columbu (1914-2012), politico e letterato, durante la sua marcia da Cagliari a Sassari via Ollolai, paese di cui era sindaco, (...)

Quello dell’impatto ambientale e sociale di una grande diga è un problema tutt’altro che banale, che va affrontato con grande attenzione alla mitigazione degli effetti sul territorio e alle giuste, e doverosamente generose, compensazioni a favore delle popolazioni danneggiate. Difficilmente, tuttavia, i costi sociali, economici e ambientali connessi alla formazione dell’invaso sono paragonabili, per entità, ai benefici che può portare una diga riconosciuta necessaria per coprire il fabbisogno idrico di un territorio. Lo diceva già Omodeo come sottrarre all’agricoltura terreni granitici quasi completamente incolti facendoli diventare sede di lago rappresentasse “un danno trascurabile in confronto degli immensi vantaggi ottenibili”. Nel caso di Abba Luchente la situazione è esattamente questa, come già osservava il progetto preliminare dicembre 1998: terreni di modesto valore in massima parte rocciosi o inadatti alle coltivazioni; assenza di abitati o vestigia di interesse storico-culturale. L’opposizione alla diga di Abba Luchente può quindi essere solo di carattere ideologico: basta dighe, ce ne sono anche troppe, pensiamo piuttosto a ridurre le perdite e a valorizzare l’ambiente.

E così è stato, eccezion fatta per la riduzione delle perdite, che non è mai avvenuta (forse anche perché son meno di quanto comunemente si dica). Il progetto del Parco regionale di Tepilora è stato varato dalla Regione nello stesso momento in cui il progetto della diga di Abba Luchente affrontava quello che per una diga è l’esame più difficile in assoluto, la valutazione di impatto ambientale (VIA), enfatizzando così la rilevanza ambientale delle aree interessate dalla diga, dai lavori e dall’invaso (e quindi ponendo in pessima luce l’impatto ambientale dell’intervento), ma soprattutto evidenziando la distanza della Regione da quel progetto che la stessa Regione aveva pianificato e finanziato, e che a rigore resta pianificato tutt’oggi, giacché il PSURI non è mai stato cancellato, e viene tutt’ora presentato nel sito della Regione Sarda, insieme con le schede di prefattibilità e le corografie d’insieme delle opere previste, tra le quali, nell’ambito degli interventi previsti per la zona idrografica Posada-Cedrino, la diga di Abba Luchente (vedi planimetria schematica e curve caratteristiche del serbatoio e planimetria e sezioni dell’opera di sbarramento).

La valutazione di impatto ambientale, come ai tecnici è ben noto, è uno strumento da tempo adottato nei paesi a più avanzata democrazia per la soluzione dei conflitti riguardanti la difesa dei valori naturalistici, ambientali e culturali. Si tratta in sostanza di un processo di diffusione delle informazioni, di partecipazione e di confronto sugli effetti che un intervento sul territorio potrebbe avere sulla natura, sull’ambiente, sul benessere di una popolazione, sui beni monumentali e archeologici.

Il procedimento di VIA prevede che chi propone la costruzione di un’opera predisponga uno studio di impatto ambientale (SIA) e lo invii all’autorità competente al rilascio del provvedimento di VIA, provvedimento che consiste in un parere vincolante (D.Lgs. n. 152/2006, art. 5, c. 1, lett. o), e dunque costituisce un’autorizzazione necessaria. Della richiesta di autorizzazione e dello studio di impatto ambientale deve essere informato il pubblico, che ha diritto di far pervenire all’autorità competente le sue osservazioni al riguardo. Il processo di circolazione e confronto di informazioni si conclude con il parere dell’autorità competente sull’impatto ambientale dell’opera, e dunque, di fatto, con l’autorizzazione o col divieto di realizzarla.

Per le opere di competenza statale, tra queste le grandi dighe, l’autorità che rilascia il provvedimento di VIA è il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM), di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali (MIBAC), sentita, per le attività istruttorie relative al procedimento di VIA, la Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale (Commissione VIA) insediata presso il Ministero dell’ambiente e costituita da liberi professionisti ed esperti provenienti dalle amministrazioni pubbliche con adeguata qualificazione in materie tecnico-ambientali.

All’esame di questo consesso lo studio di impatto ambientale della diga di Abba Luchente viene presentato il 7 dicembre 2005, insieme con l’istanza di pronuncia di compatibilità ambientale dell’opera. Ma appena prima, con Deliberazione n. 50/12 del 25 ottobre 2005, viene approvato dalla Giunta regionale il disegno di legge per l’istituzione del Parco naturale regionale dell’Oasi di Tepilora.

L’istituzione del parco, nel corso dell’istruttoria avviata dalla Commissione VIA, si rivela da subito esiziale per il progetto di Abba Luchente. Con nota in data 14 febbraio 2006 la Direzione Generale per i beni architettonici e paesaggistici del MIBAC chiede alle Soprintendenze di settore (Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e Soprintendenza per i beni archeologici) delle province di Sassari e Nuoro le loro valutazioni sul progetto. Entrambe non rilevano la presenza di emergenze monumentali o archeologiche nell’area interessata dall’intervento; né l’area ricade all’interno del Sito di importanza comunitaria di Monte Albo, né nella Scheda d’ambito n. 20 “Monte Albo” del Piano paesaggistico regionale. Tuttavia, osserva la Soprintendenza per il paesaggio, non si può che rilevare che la prevista diga e il relativo invaso, «inciderebbero profondamente sui valori paesistici del territorio interessato [come qualunque invaso artificiale, ndr]. Inoltre la realizzazione dell’invaso andrebbe a sommergere vaste porzioni dei territori ricompresi nella perimetrazione provvisoria dell’istituendo Parco Regionale “Lithos-Tepilora”». Quanto siano vaste le porzioni di territorio occupate dall’invaso rispetto all’estensione del parco si può apprezzare confrontando la superficie dello specchio liquido dell’invaso alla quota massima di regolazione (3,5 km², solo in parte compresi nel perimetro del parco) e l’estensione complessiva del parco: 78,77 km². Comunque, queste furono le valutazioni della Soprintendenza, ribadite anche in una successiva nota in data 27 giugno 2006 a seguito di un sopralluogo ai siti interessati dalla diga e dall’invaso compiuto il giorno precedente insieme con il Gruppo istruttore della Commissione VIA.

Tepilora e Abba Luchente Mappa del Parco naturale di Tepilora, la cui superficie è indicata in verde brillante, con sovrapposta l’estensione del serbatoio artificiale creato dalla diga di Abba Luchente, come prevista nel Piano stralcio di bacino regionale per l’utilizzo delle risorse idriche (PSURI)

Nel prosieguo dell’istruttoria emersero delle carenze del SIA predisposto dallo Studio Lombardi, inevitabili alla luce del fatto che lo studio era stato elaborato con riferimento a un territorio non ancora impreziosito dalla particolare valenza paesaggistica conferitagli dalla Regione con il progetto di istituirvi un parco naturale regionale.

In quei giorni, in Italia, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Testo unico in materia ambientale), recepiva la Direttiva europea 2001/42/CE sulla valutazione di impatto ambientale strategica (VAS). La VAS, così come la VIA, è una procedura che ha come obiettivo la valutazione preventiva di danni all’ambiente e al patrimonio culturale; solo che mentre la VIA si riferisce a singoli progetti, la VAS è finalizzata a valutare effetti e conseguenze dello sviluppo di piani e programmi territoriali complessi, come ad esempio, in Sardegna, è il PSURI, Piano stralcio di bacino regionale per l’utilizzo delle risorse idriche. L’art. 13, comma 3, della Direttiva europea prevede che l’obbligo di procedere alla VAS «si applica ai piani e ai programmi il cui primo atto preparatorio formale è successivo alla data di cui al paragrafo 1 [21 luglio 2004, ndr]. I piani e i programmi il cui primo atto preparatorio formale è precedente a tale data e che sono stati approvati o sottoposti all’iter legislativo più di ventiquattro mesi dopo la stessa data [21 luglio 2006, ndr] sono soggetti all’obbligo di cui all’articolo 4, paragrafo 1 [obbligo di VAS, ndr], a meno che gli Stati membri decidano caso per caso che ciò non è possibile, informando il pubblico di tale decisione».

La Regione si allarma, temendo che l’intero PSURI possa avere lo stesso destino da essa inflitto al progetto di Abba Luchente: morte per valutazione di impatto ambientale con criteri sopravvenuti. Nel caso del PSURI, infatti, il primo atto preparatorio formale è senz’altro antecedente al 21 luglio 2004, ma il Piano non è mai stato ufficialmente adottato. Dunque lo si deve adottare entro il 21 luglio 2006, altrimenti il PSURI dovrebbe essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale strategica.

Ritenendo quindi di cautelarsi in tal senso, la Giunta regionale, con Deliberazione n. 17/15 del 26 aprile 2006 e successivo Decreto del Presidente della Regione n. 66 in data 10 luglio 2006, adotta in via definitiva gli elaborati del Piano stralcio di bacino regionale per l’utilizzo delle risorse idriche. Tuttavia, per degli ambientalisti dichiarati, sottrarsi alla VAS approvando in fretta e furia un piano già in parte rinnegato nei fatti non è una gran bella cosa. Quindi – dice la delibera della Giunta – la valutazione di impatto ambientale strategica, pur non obbligatoria grazie all’intervenuta adozione del PSURI, si farà, ma con dei criteri che saranno definiti dalla Regione con delle norme di attuazione da emanarsi entro otto mesi.

In realtà, sia detto per inciso, la corsa della Regione per sottrarre il PSURI alla procedura di VAS nazionale si rivelerà priva di effetti: come ben chiarito dal Consiglio di Stato con Sentenza n. 4471 del 26 settembre 2017, la direttiva 2001/42/CE non è self-executing. Le disposizioni in essa contenute, tra cui l’art. 13 e le esclusioni da questo previste, hanno valenza in quanto recepite e disciplinate dal legislatore nazionale. Ma il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e il successivo correttivo D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, potevano e hanno ritenuto «di introdurre con l’art. 35 [del D.Lgs. n. 152/2006, ndr] una disciplina di maggiore tutela ambientale rispetto a quella posta dall’art. 13 delle disposizioni transitorie della direttiva». Quindi la Regione non potrà sottrarre il PSURI alla procedura VAS nazionale in virtù della data del primo atto preparatorio formale e della data di adozione. Potrà forse sottrarvelo solo legiferando autonomamente in materia, come previsto dallo stesso art. 35, comma 2-bis: «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano provvedono alle finalità del presente decreto ai sensi dei relativi statuti».

Ad ogni modo il Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale, chiamato a integrare il SIA di Abba Luchente, preso atto dell’intendimento della Regione di definire dei criteri al riguardo, in data 21 luglio 2006 chiede la sospensione della procedura di pronuncia di compatibilità ambientale per un periodo di dodici mesi, al fine di permettere alla Regione Sardegna l’emanazione delle direttive di cui alla Deliberazione n. 17/15 del 26 aprile 2006. Passano gli otto mesi previsti dalla Deliberazione, passano i dodici mesi di sospensiva e le direttive non arrivano; nemmeno arrivano le integrazioni del SIA; arriva invece, il 2 aprile 2009, il parere negativo della Commissione VIA-VAS sul progetto di Abba Luchente. Tra i “visto”, “considerato” e “preso atto” del dispositivo c’è anche il fatto che «non è pervenuto il parere della Regione Sardegna».

Il 4 maggio 2009 arriva anche il parere del MIBAC: negativo.

Il parere della Regione, assurdo, distante, maramaldesco, arriva a posteriori, il 7 maggio 2009: rilevato, tra l’altro,

  • che «il Consorzio Proponente, a tutt’oggi, non ha provveduto a trasmettere la documentazione integrativa, così come richiesto e sollecitato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare»;
  • che «l’invaso è parzialmente incluso nella Riserva Naturale n. 54 “Tepilora” (…) e ricade all’interno del perimetro del Parco Naturale Regionale “Oasi di Tepilora”, per il quale è in corso l’iter istitutivo»;
  • che «la pianificazione di settore, Piano Stralcio di Bacino Regionale per l’Utilizzo delle Risorse Idriche, alla base delle motivazioni e delle scelte che hanno condotto alla previsione dell’intervento, non è stata supportata e validata dalla Valutazione Ambientale Strategica, che deve essere condotta sul programma specifico degli interventi che la deliberazione n. 17/15 del 26.04.2006 prevedeva venisse emanato entro otto mesi e che non è ancora stato ancora predisposto, e che costituisce di fatto la reale pianificazione delle opere necessarie per il raggiungimento degli obiettivi fissati nel Piano Stralcio»;
  • che «sotto l’aspetto progettuale non è stata adeguatamente sviluppata e approfondita, nell’ambito di una specifica analisi costi - benefici, l’ “opzione zero” di non fattibilità dell’intervento» [gli studi condotti per il Piano delle Acque e per il PSURI, che avevano portato la Regione a promuovere e finanziare il progetto preliminare, quello definitivo e il SIA, evidentemente non dimostravano a sufficienza la necessità del nuovo invaso, ndr];
  • che «non sono stati adeguatamente trattati gli effetti dell’intervento sulle valenze naturalistiche presenti nel sito e che hanno spinto le amministrazioni locali a proporre l’istituzione del Parco Naturale Regionale “Oasi di Tepilora”»;
  • che «non sono valutati gli impatti a carico della zona umida presente a valle dello sbarramento di Maccheronis, individuata nell’allegato A della L.R. n. 31/89 come riserva naturale 28 “Stagno di Posada”. In particolare sarebbe stato opportuno predisporre uno specifico studio che analizzasse gli effetti della riduzione degli apporti idrici allo stagno, con incremento dell’ingressione del cuneo salino, rischio di interrimento precoce del sistema di canali retrodunali, progressiva riduzione della biodiversità a favore di specie tipiche di ambienti salmastri» [bisognerà aspettare il ciclone Cleopatra del novembre 2013 per apprezzare fino in fondo gli effetti che avrebbe avuto la diga di Abba Luchente sulla riduzione degli apporti idrici alla riserva naturale 28 “Stagno di Posada”, ndr],
Piena Cleopatra Le tre fotografie in sequenza scattate dalla telecamera installata presso la diga di Maccheronis in occasione dell’evento di piena causato dal c.d. "Ciclone Cleopatra" danno un'idea immediata dell'inadeguatezza "nativa" dell'invaso di Maccheronis a contenere gli effetti delle maggiori piene del Posada. In alto, la diga e l’invaso di Maccheronis nella giornata del 18 novembre 2013, prima dell’arrivo della piena; al centro, la situazione nel tardo pomeriggio, allorché la portata in arrivo ha già determinato la tracimazione della diga; in basso, l’evento in pieno sviluppo, nella serata

tutto ciò rilevato, la Regione «ritiene di non poter esprimere, al momento, un parere positivo di compatibilità ambientale sulla realizzazione dell’intervento in esame così come proposto dal Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale».

Su queste basi, in data 17 settembre 2009, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali, conclude con parere negativo la procedura di valutazione di impatto ambientale. Discorso chiuso, e preziosa lezione per chiunque si accinga in futuro a proporre ancora il progetto di Abba Luchente o qualunque altra grande opera il cui impatto sull’ambiente sia significativo: fare l’esatto opposto di ciò che ha fatto la Regione Sarda. E dunque:

  1. le incompatibilità ambientali, se esistenti, dovrebbero essere possibilmente rimosse, e non certo create; nel caso di Abba Luchente, le aree interessate dalla diga stessa, dall’invaso, dalla strada di accesso, dal cantiere, dalla cava degli inerti e quant’altro avrebbero dovuto essere sottratte al parco, quantomeno fino alla fine dei lavori, quando il lago sarebbe diventato esso stesso un elemento di pregio paesaggistico;
  2. la presentazione del progetto per la procedura VIA dovrebbe essere convenientemente preceduta da una presentazione anche politica dell’opera, il che non vuol dire cercare far passare per via politica quello che non dovrebbe passare all’esame tecnico; vuol dire che i decisori sulla compatibilità ambientale del progetto dovrebbero aver presente, già prima che l’opera sia sottoposta al loro esame, tutti gli elementi favorevoli ai fini dell’esito positivo della procedura, e quanto l’Amministrazione regionale ritenga l’opera indispensabile e indifferibile per il territorio;
  3. la valenza ambientale dell’opera dovrebbe essere presentata (concordemente dall’autorità politica e dal soggetto proponente) come prevalente, o quantomeno come altrettanto rilevante, rispetto al costo ambientale; per Abba Luchente si sarebbe potuto evidenziare l’impatto scenografico del lago, la prevenzione del disastro ambientale prodotto dalle alluvioni, la possibilità di regolare in modo adeguato il deflusso nel fiume per evitare periodi di secca eccessiva, anche a vantaggio delle aree umide costiere;
  4. la Regione, che a rigor di logica dovrebbe essere interessata alla realizzazione degli interventi che ha pianificato e finanziato, mai dovrebbe far mancare il sostegno politico al progetto, ponendosi assurdamente come censore nelle fasi più critiche dell’esame tecnico e ambientale dell’intervento; e se per qualche ragione non fosse più favorevole o interessata alla realizzazione del progetto, dell’intero Piano delle risorse idriche, o di quant’altro, dovrebbe farlo presente con onestà e chiarezza ai propri amministrati-elettori, dire quali interventi intende realizzare e quali no, e non dare per pianificati interventi che da oltre vent’anni stanno appesi sul sito web dell’Amministrazione regionale come personaggi in cerca d’autore.

Con Legge regionale 24 ottobre 2014, n. 21 viene infine istituito il Parco naturale regionale di Tepilora. Un anno prima, il 18 novembre 2013, il ciclone Cleopatra aveva colpito la Sardegna, determinando sul Posada un evento di piena con un volume defluito stimabile in 110 milioni di metri cubi d’acqua. La portata massima scaricata a valle della diga di Maccheronis, dove ancora non si erano conclusi i lavori di ampliamento del serbatoio, è dell’ordine dei 3.450 m³/s. Nel corso dell’evento, gli argini vengono esondati, e i danni che ne derivano alla piana sottostante alla diga sono molto ingenti. A Torpè, dove il Posada ha allagato parte del paese, muore un’anziana signora. Ogni persona avente qualche attinenza con la gestione e vigilanza sulla diga viene prima inquisita e poi rinviata a giudizio per l’ipotesi di concorso in omicidio e disastro colposo.

Durante le indagini sull’alluvione, alacri consulenti del magistrato inquirente analizzano tutte le possibili configurazioni del cantiere di Maccheronis alla ricerca di quella che avrebbe potuto determinare una maggiore attenuazione degli effetti della piena a valle (la ratio è che se fosse esistita una configurazione tale da attenuare gli effetti a valle, allora si potrebbe sostenere che è colpa di qualcuno che quella non fosse la configurazione del sistema al momento della piena!): e se i lavori di ampliamento del serbatoio di Maccheronis fossero stati già ultimati, il sistema avrebbe laminato meglio? e se i lavori fossero stati un po’ più ultimati ma non del tutto, così che avrebbero scaricato insieme il nuovo sfioratore in sinistra e i conci capitozzati della diga principale non ancora ricostruiti? ecco, sì, forse così le portate massime scaricate a valle sarebbero state un po’ inferiori!

I consulenti per le indagini sul ciclone Cleopatra poco sapevano dei precedenti studi e piani per la regolazione dei deflussi del Posada (come di molte altre cose). Ma se li avessero conosciuti, forse qualche domanda più pertinente avrebbero potuto porsela: e se a monte dell’invaso di Maccheronis nel 2013 ci fosse stato il bacino di Abba Luchente, due volte e mezzo più grande, la piena sarebbe stata laminata meglio? e se la diga di Abba Luchente ci fosse stata, e magari fosse stata concepita, oltre che per invasare i volumi necessari a soddisfare le utenze, anche per regolare efficacemente le forti piene del Posada, trattenendo temporaneamente i volumi delle maggiori piene e lasciandoli defluire gradualmente a valle, il ciclone Cleopatra avrebbe devastato ugualmente la parte valliva del prezioso Parco naturale di Tepilora? oppure no? e se no, non sarebbe il caso di pensarci?

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Bibliografia e documentazione