Dighe e traverse - Normativa   scarica in formato pdf

La normativa italiana sulle dighe di ritenuta è abbondante, complessa (anche perché interconnessa con diverse disposizioni generali di protezione civile e di tutela ambientale), molto pesante da osservare per chi gestisca una diga.

Le principali norme di legge specificamente dedicate alle dighe possono essere raggruppate in:

  • norme di carattere regolamentare e amministrativo, riguardanti classificazione delle dighe e definizione delle grandezze geometriche caratteristiche, contenuto e iter di approvazione dei progetti di costruzione o adeguamento, conduzione e vigilanza sui lavori, adempimenti del Concessionario/Gestore, rapporti di quest’ultimo con l’Autorità tutoria, riparto di competenze tra Autorità di vigilanza nazionali e regionali;
  • norme tecniche, che integrano le norme regolamentari di carattere generale con prescrizioni tecniche di dettaglio riguardanti il calcolo e la costruzione dei diversi tipi di sbarramento.

Nel primo gruppo si possono annoverare il Regolamento dighe di cui al D.P.R. 1° novembre 1959, n. 1363 (di cui sopravvive la prima parte, contenente norme generali per la progettazione, costruzione ed esercizio) e diverse disposizioni successive emanate a integrazione del Regolamento medesimo. In particolare: la Circolare Min. LL.PP. 28 agosto 1986, n. 1125; la Circolare Min. LL.PP. 4 dicembre 1987, n. 352; la Legge 21 ottobre 1994, n. 584; la Circolare P.C.M. 13 dicembre 1995, n. DSTN/2/22806.

Al secondo gruppo appartengono le Norme tecniche di cui al Decreto Min. II.TT. 26 giugno 2014, e le precedenti Norme tecniche di cui al Decreto Min. LL.PP. 24 marzo 1982, sostituite dalle norme del 2014 ma ancora oggi applicabili limitatamente alle dighe in costruzione già iniziate o con lavori già affidati, nonché ai progetti definitivi o esecutivi già approvati prima dell’entrata in vigore delle norme 2014.

Alle disposizioni normative predette se ne aggiungono numerose altre che disciplinano l’attività dell’Autorità tutoria nazionale (prima Servizio Nazionale Dighe, poi Registro Italiano Dighe, oggi Direzione Dighe del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) oppure impartiscono direttive di carattere ambientale o ai fini di protezione civile.

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Definizioni e ambito di applicazione delle disposizioni regolamentari

La normativa italiana non riporta una definizione esplicita del termine “diga”, e questo in alcuni casi può far sorgere incertezze sul fatto che un’opera idraulica sia da considerarsi una diga e sia pertanto soggetta alle disposizioni di legge sulla costruzione e sull’esercizio di dighe e traverse.

Soccorre, a questo riguardo, la letteratura tecnica, che in maniera praticamente univoca definisce

  • Diga: un’opera che, sbarrando una sezione di un corso d’acqua, ne intercetta i deflussi e ne provoca l’accumulazione temporanea nel tronco della valle che precede la sezione sbarrata;
  • Traversa fluviale: uno sbarramento che determina un rigurgito contenuto nell’alveo del corso d’acqua, con la finalità di innalzare il livello di monte per favorire la derivazione delle acque.

Partendo da queste definizioni, è già possibile escludere che siano dighe o traverse le briglie fluviali (fig. 6), in quanto opere non destinate a intercettare i deflussi di un corso d’acqua o a favorirne il rigurgito, ma a ridurre la pendenza dell’alveo e, corrispondentemente, la capacità erosiva del torrente. Né possono essere considerate dighe le conche di navigazione (fig. 10), adibite a tutt’altro che all’intercettazione ed accumulazione dei deflussi.

Analogamente, non sono dighe le arginature fluviali e le opere di sfioro delle casse di espansione in derivazione (fig. 7), “intese come aree opportunamente arginate per consentire l’accumulo temporaneo di acqua in occasione di eventi di piena mediante sfioro di una soglia libera o regolabile inserita in un tratto di sponda del corso d’acqua, oppure mediante altri sistemi quali sifoni auto innescanti o tratti di argine fusibili” (cfr. Circolare P.C.M. 7 aprile 1999, n. DSTN/2/7311). Infatti non si tratta di opere che sbarrano un corso d’acqua e ne intercettano i deflussi.

Nemmeno sono da ritenersi soggetti alla normativa sulle dighe i serbatoi o invasi interrati (fig. 8) o pensili (fig. 9), perché manca l’opera di sbarramento.

Infine, sono escluse dall’ambito regolamentare delle dighe di ritenuta (cfr. Legge 21 ottobre 1994, n. 584, art. 1, comma 1) “tutte le opere di sbarramento che determinano invasi adibiti esclusivamente a deposito o decantazione o lavaggio di residui industriali” (figg. 11-12).

Viceversa, ai sensi della Circolare Min.LL.PP. 4 dicembre 1987, n. 352, le norme regolamentari sulle dighe si applicano “anche alle «opere di ritenuta» destinate alla formazione di serbatoi idrici artificiali realizzati fuori alveo, qualunque sia la loro finalità ed il regime della loro utilizzazione” (fig. 5).

Parimenti (cfr. Decreto Min. LL.PP. 24 marzo 1982 e Decreto Min. II.TT. 26 giugno 2014), la normativa tecnica italiana sugli sbarramenti di ritenuta (dighe e traverse) considera anche quelli aventi l’ufficio principale di invaso dell’acqua per attenuazione delle portate di piena a valle (sbarramenti di “laminazione” - fig. 3 -, nel cui caso l’accumulazione d’acqua si verifica solo per portate elevate). Sarebbero così da considerarsi soggetti alla normativa di settore anche gli sbarramenti di laminazione disposti trasversalmente all’alveo, singolarmente o in serie, a formare casse di espansione “in linea” e gli argini che ne costituiscono le sponde (fig. 4). Va detto tuttavia che la citata Circolare P.C.M. 7 aprile 1999, n. DSTN/2/7311 considera gli sbarramenti di laminazione opere solo “tecnicamente assimilabili alle dighe”, sulle quali dovrebbe essere deciso caso per caso quali norme regolamentari siano da applicare, sulla base di accordi di programma tra le Autorità idrauliche (regionali), responsabili della progettazione e gestione di tali opere, e l’organismo tecnico specialistico di livello nazionale (ieri il Servizio Nazionale Dighe, oggi la Direzione Dighe del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti).

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Sono soggette alle disposizioni di legge sulla costruzione e sull’esercizio degli sbarramenti di ritenuta: le dighe (fig. 1); le traverse fluviali (fig. 2); le dighe di laminazione (fig. 3); le casse di espansione in linea (fig. 4 - fonte: parmaitaly.com); le opere di ritenuta destinate alla formazione di serbatoi idrici artificiali fuori alveo (fig. 5). Per dighe di laminazione e casse di espansione in linea l’applicazione delle norme regolamentari sulle dighe è regolata da accordi di programma tra le Autorità idrauliche regionali e Direzione Dighe del MIT (Circolare P.C.M. 7 aprile 1999, n. DSTN/2/7311).
Non sono soggetti alle predette disposizioni: le briglie fluviali (fig. 6 - fonte: Wolfgang Moroder); le arginature fluviali e le casse di espansione in derivazione (fig. 7); i serbatoi o invasi interrati (fig. 8); i serbatoi pensili (fig. 9); le conche di navigazione (fig. 10); i serbatoi e depositi industriali (fig. 11); i bacini di decantazione (fig. 12 - fonte: Fondazione Stava).

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Grandi e piccole dighe - riparto di competenze

Oltre alle caratteristiche funzionali di uno sbarramento, che lo comprendono o lo escludono dal novero delle opere soggette alle disposizioni di legge sulla costruzione e sull’esercizio degli sbarramenti di ritenuta (dighe e traverse), agli effetti della normativa italiana rilevano anche le dimensioni dello sbarramento (in particolare l’altezza) e quelle dell’invaso. Sono infatti queste dimensioni che inquadrano una diga o traversa come “grande” o “piccola” diga, assegnandone la competenza (per quanto attiene alla vigilanza sulla progettazione, esecuzione ed esercizio da parte dei concessionari) allo Stato o alle Regioni e Province autonome.

In particolare, la Legge 21 ottobre 1994, n. 584 prevede che rientrino nella competenza dello Stato (e dunque del Servizio Nazionale Dighe, oggi Direzione Dighe del MIT) “le opere di sbarramento, dighe di ritenuta o traverse che superano 15 metri di altezza o che determinano un volume di invaso superiore a 1˙000˙000 di metri cubi” [c.d. “grandi dighe”]; invece, rientrano nella competenza delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano “gli sbarramenti che non superano i 15 metri di altezza e che determinano un invaso non superiore a 1˙000˙000 di metri cubi” [c.d. “piccole dighe”].

Ai fini dell’attribuzione delle competenze allo Stato o alle Regioni e Province autonome, la stessa Legge 21 ottobre 1994, n. 584, e ancor meglio la successiva Circolare P.C.M. 13 dicembre 1995, n. DSTN/2/22806, hanno introdotto le seguenti definizioni di altezza della diga e di volume di invaso:

  • Con il termine di «altezza» si intende la differenza tra la quota del piano di coronamento, ovvero del ciglio più elevato di sfioro nel caso di traverse prive di coronamento, e quella del punto più depresso dei paramenti da individuare su una delle due linee di intersezione tra paramenti e piano di campagna
  • Con il termine «volume di invaso» si intende la capacità del serbatoio compresa tra la quota più elevata delle soglie sfioranti degli scarichi, o della sommità delle eventuali paratoie (quota di massima regolazione), e la quota del punto più depresso del paramento di monte da individuare sulla linea di intersezione tra detto paramento e piano di campagna

Le medesime definizioni sono state confermate dalle nuove “Norme tecniche per la progettazione e la costruzione degli sbarramenti di ritenuta (dighe e traverse)” emanate con Decreto Min. II.TT. 26 giugno 2014.

Va detto che la definizione di “altezza” della diga introdotta dalla Legge 21 ottobre 1994, n. 584 è differente da quella indicata sulla normativa precedente. In particolare, il Decreto Min. LL.PP. 24 marzo 1982 definiva “altezza della diga” “il dislivello tra la quota del piano di coronamento (esclusi parapetti ed eventuali muri frangionde) e quella del punto più basso della superficie di fondazione (escluse eventuali sottostrutture di tenuta)”. Dunque l’altezza della diga secondo la Legge 584/1994 (riferita al punto più depresso dei paramenti) è di norma inferiore all’altezza secondo il Decreto marzo 1982 (riferita al punto più basso della fondazione).

Altezze caratteristiche
Principali elementi e grandezze di una diga secondo la vigente normativa italiana
Se l'altezza di nuova definizione ha il pregio di essere un parametro che consente di stabilire a chi attribuire la competenza sulla diga (Stato o Regioni) anche senza disporre di disegni di consistenza che con certezza attestino la quota del punto più basso della fondazione, ha d’altro canto il non trascurabile difetto di non corrispondere alla definizione dell’altezza strutturale di una diga adottata in tutto il mondo, che è appunto quella riferita al punto più basso della fondazione (si veda ad esempio il glossario del Bureau of Reclamation degli Stati Uniti - U.S.B.R.).

Dunque la definizione di “altezza della diga” data dal Decreto Min. LL.PP. 24 marzo 1982, pur essendo non più vigente nella normativa italiana, rimane comunque in ambito tecnico come dato significativo, necessario, se non altro, per confrontare l’altezza delle dighe italiane con quella delle dighe di altri Paesi.

Va ribadito, circa l’attribuzione delle competenze allo Stato (per le “grandi dighe”) o alle Regioni e Province autonome (per le “piccole dighe”), che questa ripartizione attiene alla vigilanza sulla progettazione, esecuzione ed esercizio ad opera dei concessionari o gestori, ma non attiene (o non attiene interamente) agli aspetti normativi e regolamentari. Infatti, seppure le Regioni, secondo le attribuzioni ad esse trasferite, si siano dotate di leggi e regolamenti propri che disciplinano la costruzione, l’esercizio e la vigilanza degli sbarramenti di ritenuta di loro competenza e dei relativi bacini di accumulo, restano tuttavia valide, per le dighe “regionali” di altezza superiore ai 10 metri o che determinino un invaso superiore ai 100˙000 metri cubi, le disposizioni regolamentari del D.P.R. 1° novembre 1959, n. 1363 e delle successive norme che ne costituiscono modifiche o integrazioni, in particolare le nuove norme tecniche di cui al Decreto Min. II.TT. 26 giugno 2014. Del resto, il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 61, comma 4, prevede che “Resta di competenza statale la normativa tecnica relativa alla progettazione e costruzione delle dighe di sbarramento di qualsiasi altezza e capacità di invaso”. Per contro, sulla base della normativa vigente, le Regioni e Province autonome hanno rilevanti competenze in materia ambientale e di protezione civile che incidono anche sulla gestione delle “grandi dighe” ricadenti nel loro territorio.

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Gli adempimenti

La normativa di settore pone la responsabilità della gestione in sicurezza della diga in capo al “Concessionario o Gestore”, assumendo che le opere possano essere esercite dal Concessionario della derivazione d’acqua oppure (in sua vece o in sua assenza) da un soggetto che non sia intestatario della concessione, ma che abbia comunque titolo e capacità tecnica per provvedere alla gestione secondo le disposizioni di legge.

Il Regolamento di cui al D.P.R. 1° novembre 1959, n. 1363 si limitava a prevedere, a carico del Concessionario/Gestore, i classici oneri connessi alla realizzazione della diga (progettazione, costruzione, direzione dei lavori, assistenza governativa e collaudo) e al successivo esercizio (vigilanza, manutenzione, monitoraggio, impianto di illuminazione e collegamento telefonico).

Nell’ultimo trentennio, successivi provvedimenti normativi hanno assoggettato le dighe di ritenuta a diversi nuovi adempimenti di carattere tecnico, nessuno dei quali privo di senso e di utilità, ma che di certo hanno appesantito notevolmente l’impegno organizzativo ed economico derivante dalla gestione di una diga, anche per via del costante orientamento del legislatore che, per limitare l’impiego di risorse del bilancio dello Stato, assegna al Concessionario (che ricava profitto dalla utilizzazione della risorsa) tutti gli adempimenti di carattere tecnico previsti dalla normativa.

Dunque, sulla base delle disposizioni vigenti, in aggiunta a quanto previsto dal Regolamento del 1959, al Concessionario/Gestore è richiesto di:

A questi adempimenti, che comportano elaborazioni, studi e verifiche con costi complessivamente rilevanti, si aggiunge, per le “grandi dighe”, l’obbligo di iscriversi al RID (Registro Italiano Dighe) e “corrispondere al medesimo un contributo annuo per le attività di vigilanza e controllo svolte dallo stesso” (cfr. Legge 1° agosto 2002, n. 166), contributo che non è venuto meno con l’avvenuta soppressione del RID (cfr. Legge 24 novembre 2006, n. 286, art. 2, comma 172).

Va da sé che questo impianto normativo, che presuppone la capacità organizzativa e finanziaria del Gestore di far fronte ai numerosi e gravosi adempimenti previsti dalla legge, diventa difficilmente applicabile nei casi in cui il Concessionario non derivi dall’utilizzazione dell’acqua un profitto rilevante. Questa eventualità, tutt’altro che rara in assoluto, diventa praticamente la regola per i piccoli invasi, soprattutto se collocati su corsi d’acqua a regime torrentizio, con apporti incostanti e incerti. Quando poi questi invasi siano formati da dighe classificate come “grandi” (più alte di 15 metri) o anche da dighe “piccole” ma più alte di 10 metri (ricadenti fra le più alte delle dighe regionali), non sono molti gli “sconti” sugli adempimenti normativi di cui il Concessionario riesce ad usufruire.

E’ pur vero che la normativa prevede la possibilità di un’applicazione parziale delle disposizioni regolamentari per i casi di minore importanza (si veda la premessa al Regolamento D.P.R. 1° novembre 1959, n. 1363 e la Legge 21 ottobre 1994, n. 584, art. 2, comma 2). Tuttavia, raramente, all'atto pratico, questo basta a rendere economicamente conveniente la gestione di un piccolo invaso, e sempre più spesso si assiste alla rinuncia dei concessionari e al conseguente abbandono e degrado delle dighe minori. E se questo da un lato pone il problema della sicurezza degli sbarramenti abbandonati, dall’altro fa venir meno quella disponibilità diffusa e a basso costo di risorsa idrica sul territorio che le opere minori consentono, e che lo Stato in passato ha generosamente favorito (si vedano al riguardo la Legge 26 luglio 1956, n. 862, c.d. “Legge dei laghi collinari”, la Legge 18 dicembre 1959, n. 1117 e la Legge 2 giugno 1961, n. 454, c.d. "primo Piano Verde" - art. 11).

L’unica possibile soluzione al problema è che lo Stato e le Amministrazioni regionali ravvisino l’opportunità e la convenienza della buona conservazione delle dighe minori e aiutino i concessionari nella gestione, sia con adeguate sovvenzioni per le manutenzioni e gli adeguamenti necessari, sia con il supporto della propria struttura tecnica, che non dovrebbe limitarsi a svolgere la più assidua vigilanza su tutti gli adempimenti che gravano sul Concessionario, ma dovrebbe all’occorrenza sostituirsi ad esso nel redigere le complesse elaborazioni e progettazioni richieste dalle disposizioni normative.

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La gestione delle emergenze e la prevenzione

La presenza di una diga su un corso d’acqua, a meno di un crollo rovinoso della diga stessa, di parti di essa o delle sponde del bacino (Vajont) e a meno di manovre incongrue degli organi di scarico, è di per sé un fattore positivo agli effetti della tutela dei territori di valle dalle inondazioni: la diga intercetta le acque di piena che affluiscono da monte, favorendone l’invaso temporaneo nel bacino e attenuando in tal modo le portate massime rilasciate a valle nel corso della piena. Forte di questa considerazione, il Regolamento D.P.R. 1° novembre 1959, n. 1363 si limitava a prescrivere la gestione in sicurezza dello sbarramento e delle opere accessorie, implicitamente assumendo che eventuali fenomeni alluvionali a valle non avrebbero potuto essere ricondotti alla presenza della diga, che anzi ne avrebbe favorito il contenimento.

Le disposizioni normative che si sono aggiunte al Regolamento del 1959 a partire dalla seconda metà degli anni ’80, conseguenti anche a incidenti ed eventi disastrosi occorsi in Italia e all’estero, indicano una nuova consapevolezza circa i rischi che possono aversi nei territori di valle per effetto della presenza di una diga, e di come la naturale predisposizione della diga a “laminare” la piena (e cioè a contenerne gli effetti rovinosi riducendo i valori massimi delle portate scaricate a valle) possa essere massimizzata a tutela della sicurezza delle popolazioni e dei territori vallivi.

In particolare, i rischi derivanti da manovre degli organi di scarico o dal collasso della diga sono considerati dalle Circolari Min. LL.PP. 28 agosto 1986, n. 1125 e 4 dicembre 1987, n. 352, e dalle successive Circolari P.C.M. 13 dicembre 1995, n. DSTN/2/22806 e 19 marzo 1996, n. DSTN/2/7019. Secondo quanto da queste disposto, lungo gli alvei a valle delle dighe devono essere installati cartelli monitori di tipo unificato “segnalanti il pericolo di piene artificiali, anche improvvise, per manovre degli organi di scarico”, ed ogni diga deve essere provvista di una sirena destinata ad entrare in funzione “esclusivamente per manovre di apertura volontaria degli organi di scarico per avvisare dell’arrivo dell’onda di piena le persone eventualmente presenti nell’area immediatamente a valle dello sbarramento e nelle zone dell’alveo adiacenti gli sbocchi degli scarichi”. Devono essere inoltre acquisiti gli studi sulle conseguenze che hanno sui territori di valle le manovre eccezionali degli organi di scarico della diga e l’ipotetico crollo della diga stessa, e deve essere valutata la massima portata scaricabile a valle che rimanga contenuta in alveo, o meglio nella “fascia di pertinenza fluviale”.

Una volta acquisiti gli studi e le valutazioni predette, risultano definiti, con sufficiente approssimazione, degli scenari di rischio formati di elementi noti:

  • gli eventi di piena artificiale possibili con probabilità di accadimento alta (manovre normali degli organi di scarico), bassa (manovre eccezionali) e estremamente bassa (ipotetico crollo della diga);
  • le aree esposte ai diversi eventi prima individuati: a) area di pertinenza fluviale interessata dalle manovre normali degli organi di scarico, b) area sommersa per le manovre eccezionali degli organi di scarico, c) area sommersa per ipotetico crollo della diga;
  • le popolazioni ed i beni presenti in ciascuna delle aree prima indicate e delimitate nella cartografia allegata agli studi.

Gli “scenari degli incidenti probabili” così definiti dovranno costituire la base conoscitiva e documentale per la redazione del Piano di emergenza della diga (PED) da parte delle Autorità di protezione civile, a tutela delle popolazioni e infrastrutture esposte alle diverse ipotesi di rischio. A redigere i Piani di emergenza, la Circolare P.C.M. 13 dicembre 1995, n. DSTN/2/22806 chiamava i Prefetti. La più recente "Direttiva Dighe" (Direttiva P.C.M. 8 luglio 2014, cui nel seguito è dedicato un paragrafo specifico) sposta questa incombenza sulle Regioni, “in raccordo con le prefetture-UTG territorialmente interessate”.

Le Regioni, sulla base della Direttiva P.C.M. 27 febbraio 2004, sono inoltre chiamate a individuare “quegli invasi che potrebbero essere effettivamente utili alla laminazione delle piene e quindi ad una riduzione del rischio idraulico a valle degli invasi stessi. (…) Per tali invasi le Regioni, con il concorso tecnico dei Centri Funzionali decentrati, dell’Autorità di bacino e del Registro italiano dighe [oggi Direzione Dighe del MIT], d’intesa con i gestori, sotto il coordinamento del Dipartimento della protezione civile, predisporranno ed adotteranno un Piano di laminazione preventivo”.

La Circolare Min. LL.PP. 4 dicembre 1987, n. 352 e la successiva Circolare P.C.M. 19 marzo 1996, n. DSTN/2/7019 (quest’ultima poi sostituita dalla citata Direttiva P.C.M. 8 luglio 2014) provvedono anche a definire le modalità con cui il Concessionario/Gestore dovrà non solo esercire la diga in sicurezza secondo un piano di attività dettagliato nel “Foglio di condizioni per l’esercizio e la manutenzione” (FCEM), ma anche gestire le eventuali emergenze, garantendo all’occasione la presenza qualificata in loco dell’Ingegnere responsabile, diramando alle Autorità di protezione civile ed altri soggetti coinvolti gli avvisi sull’evolversi della situazione e sulle manovre di apertura degli organi di scarico eventualmente previste ed eseguendo infine le manovre di scarico necessarie anche in applicazione del “Piano di laminazione”, ove predisposto e adottato dalla Regione ai sensi della Direttiva P.C.M. 27 febbraio 2004. Le attività del Concessionario/Gestore in occasione delle emergenze sono pianificate nel “Documento di protezione civile”, uno specifico allegato del FCEM introdotto dalla Circolare Min. LL.PP. 4 dicembre 1987, n. 352 e successivamente riformato dalla Circolare P.C.M. 19 marzo 1996, n. DSTN/2/7019 e, da ultimo, dalla Direttiva P.C.M. 8 luglio 2014. La Direttiva P.C.M. 8 luglio 2014 prevede che le disposizioni del Piano di laminazione, ove adottato, o differenti specifiche disposizioni emanate dalle Autorità competenti prevalgano su quelle del Documento di protezione civile.

E’ rilevante, riguardo alle prescrizioni normative sulla gestione delle emergenze, il principio enunciato dapprima dalla Circolare P.C.M. 19 marzo 1996, n. DSTN/2/7019, e poi mantenuto dalla Direttiva P.C.M. 8 luglio 2014, del “non aggravamento dell’evento di piena”, cioè l’obbligo a) di non scaricare a valle, nella fase crescente della piena, una portata superiore a quella affluente al serbatoio, e b) di non scaricare a valle, nella fase decrescente della piena, una portata superiore alla massima scaricata nella fase crescente. All’obbligo predetto, valido in generale per tutti i serbatoi sul territorio nazionale in quanto riportato esplicitamente su ciascun Documento di protezione civile, il Concessionario/Gestore può derogare, come sopra detto, solo in caso di diverse disposizioni da parte dell’Autorità competente, impartite con un ordine specifico o inserite nell’eventuale Piano di laminazione predisposto ai sensi della Direttiva P.C.M. 27 febbraio 2004.

La Direttiva P.C.M. 27 febbraio 2004, nell’ambito dell’organizzazione complessiva del sistema di allertamento nazionale, statale e regionale per il rischio idrogeologico ed idraulico ai fini di protezione civile, riporta ulteriori indicazioni per i gestori degli invasi riguardo alle manovre da eseguire in occasione di eventi di piena e alle comunicazioni da inviare alle Autorità coinvolte nel governo della piena. Ma la materia della gestione delle emergenze e gli aspetti più in generale connessi col rischio idraulico a valle delle dighe di ritenuta sono stati complessivamente rivisti e ricompresi nella più volte citata Direttiva P.C.M. 8 luglio 2014.

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La Direttiva Dighe (Direttiva P.C.M. 8 luglio 2014)

La Direttiva P.C.M. 8 luglio 2014, “Indirizzi operativi inerenti all’attività di protezione civile nell’ambito dei bacini in cui siano presenti grandi dighe”, aggiorna ed integra, rispetto al quadro normativo previgente, le procedure e i Piani di emergenza finalizzati alla sicurezza delle dighe e dei territori a valle. In particolare, essa intende:

  • stabilire le condizioni di attivazione delle fasi di allerta;
  • definire le azioni conseguenti all’attivazione delle fasi di allerta medesime;
  • stabilire i legami funzionali tra i vari soggetti coinvolti;
  • individuare i soggetti preposti alla predisposizione dei Piani di emergenza delle dighe (PED).

All’atto pratico, le disposizioni della Direttiva si concretizzano nella stesura (o meglio nel radicale aggiornamento) di due documenti: il Documento di protezione civile (DPC), predisposto dalla Direzione Generale Dighe del MIT (D.G. Dighe) ed il Piano di emergenza della diga (PED) che, come sopra anticipato, viene ora predisposto dalla Regione, in raccordo con le Prefetture-UTG territorialmente interessate.

Le fasi di allerta e le condizioni di attivazione.

Allerte Il nuovo DPC stabilisce, per ciascuna diga, le condizioni per l’attivazione del sistema di protezione civile e le comunicazioni e procedure da attuare al verificarsi:

  • di eventi, temuti o in atto, riguardanti l’impianto di ritenuta o il bacino d’invaso e rilevanti ai fini della sicurezza della diga e dei territori di valle (“RISCHIO DIGA”, cioè rischio indotto da eventuali problemi di sicurezza della diga o dell’invaso);
  • del rilascio a valle di portate che possano comportare onde di piena e rischio di esondazione (“RISCHIO IDRAULICO A VALLE” cioè rischio idraulico non dovuto a problemi di sicurezza della diga ma conseguente alle portate scaricate a valle.

Mentre nel caso del “rischio diga” le fasi di allerta sono definite dal raggiungimento di stati di sollecitazione sulla struttura, ovvero di stati limite, progressivamente più severi (per crescita del livello di invaso o per il verificarsi di eventi sismici), nel caso del “rischio idraulico a valle” le fasi di allerta sono definite dalle portate scaricate a valle.

In caso di adozione del Piano di laminazione di cui alla Direttiva P.C.M. 27 febbraio 2004, la definizione delle fasi di allerta relative al “rischio idraulico a valle” è stabilita nel Piano di laminazione stesso. Invece, in assenza di Piano di laminazione, (o qualora il Piano di laminazione non ridefinisca le fasi di allerta relative al “rischio idraulico a valle”), la definizione delle fasi di allerta relative al “rischio idraulico a valle” è demandata al Documento di protezione civile (dove pure sono definite le fasi di allerta relative al “rischio diga”). In questo caso, le condizioni di attivazione delle fasi di allerta per “rischio idraulico a valle” sono quelle generali contemplate nella Direttiva: in condizioni di piena prevista o in atto, si attiva la fase di preallerta per “rischio idraulico a valle” in previsione (o all'inizio) di operazioni di scarico effettuate tramite apertura di paratoie a comando volontario o automatico, indipendentemente dal valore della portata; si attiva poi la fase di allerta per “rischio idraulico a valle” quando la portata complessivamente scaricata dalla diga, inclusa stavolta la portata degli scarichi a soglia libera (e le portate turbinate, se rilevanti per entità e luogo di restituzione) supera un valore “di attenzioneQmin, definito come “indicatore dell’approssimarsi o manifestarsi di prefigurati scenari d’evento (quali ad esempio esondazioni localizzate per situazioni particolari, lavori idraulici, presenza di restringimenti, attraversamenti, opere idrauliche, ecc.)”. Sostanzialmente, quindi, la preallerta per rischio idraulico corrisponde all’inizio del rilascio di acqua a valle in conseguenza dell’evento di piena per azionamento volontario o automatico degli organi di scarico, indipendentemente dal valore della portata (Q > 0); l’allerta corrisponde al superamento della “soglia di attenzione scarico diga” (Q > Qmin). Quando il rilascio iniziale di acqua a valle sia dovuto al semplice sfioro dell'acqua dallo scarico di superficie, e non all'apertura di paratoie, non si attiva la fase di preallerta per rischio idraulico a valle; si attiva direttamente la fase di allerta nel momento in cui la portata complessivamente scaricata supera il valore Qmin.

Nei prospetti seguenti sono indicate le fasi di allerta per “rischio diga” e “rischio idraulico a valle” individuate dalla Direttiva Dighe, e le condizioni sotto le quali ciascuna fase di allerta viene rispettivamente attivata:

Rischio diga - Condizioni per l'attivazione Rischio idraulico - Condizioni per l'attivazione Si osserva come, in condizioni di invaso pieno fino alla massima ritenuta, eventi di piena tali da comportare rilasci a valle finiscano spesso per determinare fasi di preallerta e talora di allerta tanto per “rischio diga” quanto per “rischio idraulico a valle”. Le due categorie di allerte possono quindi verificarsi anche contemporaneamente; e tuttavia si tratta di due allerte distinte, in quanto è diverso, nei due casi, l’evento temuto: nel caso del “rischio diga” si teme che l’evento di piena porti il livello nel bacino a crescere fino a che vengano superate le condizioni massime di carico assunte in progetto (o comunque le condizioni di carico ritenute non superabili per l’esercizio della diga in condizioni di sicurezza), con conseguente rischio di evento alluvionale catastrofico dovuto al collasso della diga; nel caso del “rischio idraulico a valle”, come già sopra indicato, si teme che le portate scaricate dalla diga possano risultare critiche per le popolazioni, le attività e le infrastrutture a valle. Le due preallerte e/o allerte sono dunque attivate (e rientrano, al cessare delle condizioni che le hanno determinate) distintamente. Cionondimeno, la Direttiva dispone che in caso di contemporaneità tra le fasi di allerta per “rischio idraulico a valle” e quelle per “rischio diga”, siano applicate le procedure previste per il “rischio diga”, integrate per quanto necessario con quelle previste per il “rischio idraulico a valle”. 

Va detto che, in molti casi, la preallerta dovuta a un evento di piena, sia questa per “rischio diga” (superamento di una soglia di invaso comunque ritenuta sicura), sia questa per “rischio idraulico a valle” (inizio del rilascio di acqua dalla diga con azionamento delle paratoie, indipendentemente dal valore della portata), sarebbe da attivarsi in situazioni che ancora rientrano nell’ambito dell’ordinario, e dunque non tali da produrre effetti (e allarmi) eclatanti.

Per questo motivo, la Direttiva consente che il Documento di protezione civile, nel caso della preallerta per “rischio diga”, possa posticipare l’attivazione della preallerta o la comunicazione dell’avvenuta attivazione della preallerta da parte del Gestore al raggiungimento di una data soglia di portata scaricata (o di livello d’invaso, se e in quanto correlato alla portata scaricata).

Nel caso della preallerta per “rischio idraulico a valle” è invece possibile che il DPC posticipi solo la comunicazione. Cioè, la preallerta, ricorrendone le condizioni, dovrà essere comunque attivata, indipendentemente dalla portata scaricata, ma il DPC può consentire al Gestore di non inviarne la comunicazione al di sotto di una soglia di portata stabilita.

Le azioni conseguenti all’attivazione delle fasi di allerta, i soggetti coinvolti e i legami funzionali tra loro.

Comunicazioni L’attivazione delle fasi di preallerta e allerta innesca un articolato sistema di azioni e comunicazioni che coinvolgono diversi soggetti. Ad attivare qualunque fase di allerta è chiamato il Gestore della diga, che oltre a comunicare l’attivazione della fase deve riferire sinteticamente le sue osservazioni e, per quanto possibile, le sue previsioni sui prossimi sviluppi dell’evento che ha generato l’allerta.

Altri soggetti (la D.G. Dighe in caso di preallerta da rischio diga per sisma, la Protezione civile regionale negli altri casi) ricevono la comunicazione del Gestore e ne valutano la portata alla luce delle proprie specifiche competenze e informazioni. La Protezione civile regionale, quando previsto, allerta le Province e i Sindaci dei territori interessati dall’evento ai fini dell’attivazione dei relativi Piani di emergenza, aggiungendo il proprio contributo di valutazioni e ragguagli.

Solo in caso di fenomeni di collasso il Gestore avvisa direttamente Province e Sindaci dei territori interessati. In tal caso, infatti, nessuna valutazione sulla portata dell’evento è più necessaria: si tratta solo di attivare con la massima rapidità le misure previste dai Piani di emergenza. Anche in questo caso, tuttavia, ai fini dell’attivazione dei Piani di emergenza provinciali e comunali, spetta alla Protezione civile regionale di mantenere i contatti con gli Enti locali del territorio regionale interessati dall’evento (insieme con la Prefettura, che anzi, in presenza di un collasso, assume la direzione unitaria dei servizi di emergenza da attivare a livello provinciale, ai sensi dell'art. 9 del D.Lgs. n. 1/2018, "Codice della protezione civile").

Quando il Gestore attivi la preallerta per “rischio diga” da evento sismico, la sua comunicazione è inviata solo alla D.G. Dighe e, in sede locale, all’Ufficio Tecnico per le Dighe della Direzione medesima, e riporta da subito le informazioni attinenti alla presenza o assenza di anomalie e danni immediatamente rilevabili. Successivamente, non appena possibile, il Gestore invia alla D.G. Dighe e all’U.T.D. una nota tecnica con gli esiti complessivi degli ulteriori controlli eseguiti sulla base del Foglio di condizioni per l’esercizio e la manutenzione e con le valutazioni tecniche dell’Ingegnere responsabile. La D.G. Dighe e l’U.T.D. valutano le informazioni ricevute e comunicano loro al Prefetto, al Dipartimento della Protezione civile e alla Protezione civile regionale gli esiti dei controlli eseguiti dai gestori delle dighe ricadenti nell’area del sisma.

Gli altri soggetti contemplati dalla Direttiva (Prefetto, Autorità idraulica, Dipartimento della Protezione civile), ricevute le comunicazioni del Gestore o della D.G. Dighe, attuano le azioni di rispettiva competenza.

I prospetti seguenti riportano, per le diverse fasi di allerta per “rischio diga” e per “rischio idraulico a valle”, le azioni conseguenti all’attivazione di ciascuna fase.

E’ opportuno evidenziare che quanto indicato nei prospetti deriva non solamente dal contenuto letterale della Direttiva, ma anche dalla “messa in pratica” fattane dalla D.G. Dighe nel definire, sulla base della Direttiva medesima, lo schema generale del Documento di protezione civile. Ad ogni modo, per maggiore chiarezza, ogni adempimento indicato nello schema generale del DPC, ma non esplicitamente previsto dalla Direttiva, è segnalato con una nota. Va detto ancora che mentre la D.G. Dighe (e dunque lo schema generale del DPC da questa predisposto) ha potere prescrittivo nei confronti del Gestore della diga, non lo ha nei confronti degli altri soggetti coinvolti (Protezione civile, Prefettura, Amministrazioni regionali, Enti locali). Quindi, ogni adempimento previsto dallo schema generale del DPC che non sia anche riportato sulla Direttiva, è vincolante se riguarda il Gestore, mentre se riguarda gli altri soggetti dovrebbe essere tutt’al più concordato. Per questo motivo, generalmente, i prospetti seguenti nemmeno riportano adempimenti aggiuntivi previsti dallo schema generale del DPC che riguardino soggetti diversi dal Gestore della diga.

Rischio diga - Azioni preallerta Rischio diga - Azioni vigilanza rinforzata Rischio diga - Azioni pericolo Rischio diga - Azioni collasso Rischio idraulico - Azioni preallerta Rischio idraulico - Azioni allerta Dall’esame delle condizioni per l’attivazione delle diverse fasi di allerta, e delle azioni conseguenti all’attivazione, si osserva come sia ben presente, nel testo della Direttiva, l’attenzione ad evitare che siano diramate allerte non sufficientemente motivate. E’ ben noto, infatti, che un atteggiamento eccessivamente cautelativo, tendente ad allertare comunque il sistema di protezione civile anche quando sia poco probabile l’accadimento di un evento critico, non solo ha dei costi pesanti (che in qualche caso possono comprendere la perdita di ingenti risorse idriche invasate nei bacini a causa di svasi preventivi ingiustificati), ma soprattutto finisce per togliere credibilità alle allerte successive e quindi, magari, a far sottovalutare avvisi realmente fondati. 

Questo orientamento della Direttiva è testimoniato particolarmente dai seguenti aspetti:

  • Il semplice sfioro libero dell'acqua dalla diga, senza azionamento volontario o automatico di paratoie, pure quando avvenga in occorrenza di una piena, non dà luogo ad una preallerta per “rischio idraulico a valle”.
  • Condizione necessaria per l’attivazione di una preallerta per evento di piena, sia questa per “rischio diga” o per “rischio idraulico a valle”, è sempre un avviso di criticità del CFD. Affinché venga diramata la preallerta, non basta quindi che siano superati certi livelli di invaso (“rischio diga”) o che sia scaricata dell’acqua a valle con azionamento delle paratoie (“rischio idraulico a valle”): occorre che queste circostanze siano concorrenti con un dichiarato stato di criticità per rischio idrogeologico.
  • Peraltro, affinché venga attivata la preallerta per “rischio idraulico a valle”, non basta che sia scaricata acqua a valle dagli scarichi regolati e che vi sia un avviso di criticità: occorre che il Gestore, informatosi presso il CFD, abbia esplicita conferma delle condizioni di piena prevista o in atto. Anche nel caso della preallerta per “rischio diga” da evento di piena il Gestore chiede conferma delle condizioni di piena prevista o in atto; però questo non condiziona tanto l’attivazione della preallerta, quanto la sua comunicazione; è infatti previsto che il Gestore ne mandi l’avviso ai destinatari (Protezione civile regionale, Autorità idraulica e U.T.D. competenti per il territorio in cui ricade la diga e Gestori di eventuali dighe a valle) solo dopo aver provveduto ad informarsi presso la Protezione civile regionale sull’evolversi della situazione idrometeorologica in atto, e solo “Qualora, sulla base delle informazioni acquisite o ricevute, si preveda la prosecuzione o l’intensificazione dell’evento”.
  • Ancora riguardo all’attivazione di una preallerta per evento di piena (per “rischio diga” o per “rischio idraulico a valle”), come già sopra riferito, la Direttiva prevede che il Documento di protezione civile possa stabilire una soglia di portata scaricata al di sotto della quale o non si attiva la fase di preallerta (solo in caso di “rischio diga”) o non è previsto l’obbligo di comunicarne l’attivazione (sia in caso di “rischio diga” che di “rischio idraulico a valle”). Anche qui, la ratio è di evitare allarmi inutili ed eccessivamente frequenti.
  • In caso di attivazione di una preallerta per “rischio diga” da evento di piena, la Direttiva non prevede che le Province e i Sindaci dei Comuni interessati dall’evento ne ricevano l’avviso.
  • Neanche in caso di preallerta per “rischio diga” da evento sismico i Sindaci e le Province sono avvisati, e la Prefettura, il Dipartimento della Protezione civile e la Protezione civile regionale ne ricevono l’avviso solo dopo una valutazione della D.G. Dighe e dell’U.T.D.
  • In caso di attivazione di una preallerta per “rischio idraulico a valle”, le Province e i Sindaci dei Comuni interessati ne ricevono l’avviso, ma non direttamente dal Gestore, bensì da parte (e a seguito di una valutazione) della Protezione civile regionale, ai fini dell’“eventuale” successiva attivazione dei rispettivi Piani di emergenza.
  • Ma anche quando intervenga l’allerta per “rischio idraulico a valle”, i Sindaci e le Province ricevono gli avvisi solo dopo una valutazione della Protezione civile regionale, che quindi è chiamata non certo ad un inutile smistamento degli avvisi così come ricevuti dal Gestore, ma ad una necessaria analisi e ad un arricchimento dell’informazione grazie alla propria organizzazione e alle proprie peculiari competenze e conoscenze. Anche in questo caso, il fine evidente è che agli Enti locali deputati ad attivare le procedure di emergenza arrivi un’informazione più possibilmente circostanziata: non solo l’avviso di allerta del Gestore (che non ci sarebbe motivo di far diramare dalla Protezione civile), ma un avviso integrato da ulteriori valutazioni e ragguagli che, per quanto possibile, portino chi lo riceve ad apprezzare la reale criticità dell'evento.

Le competenze specifiche delle Regioni: i Piani di emergenza delle dighe (PED) e l’Autorità idraulica.

Piani di emergenza delle dighe (PED): Come già sopra riferito, la Direttiva Dighe conferma la necessità che, definiti gli “scenari degli incidenti probabili” sulla base di appositi studi, sia redatto, per ciascuna delle “grandi dighe” individuate dalla Legge 21 ottobre 1994, n. 584, “un piano di emergenza su base regionale (PED), per contrastare le situazioni di pericolo connesse con la propagazione di un’onda di piena originata da manovre degli organi di scarico ovvero dall’ipotetico collasso dello sbarramento”. Anche per le “piccole dighe”, di competenza regionale, è prevista la redazione dei PED, assumendo le disposizioni della Direttiva destinate ai PED delle “grandi dighe” come riferimento di carattere generale.

I PED sono redatti dalle Regioni “su base regionale”, cioè ciascuna Regione li redige limitatamente al suo territorio. Nel caso in cui l’onda di piena possa interessare i territori di più regioni, ciascuna Regione redige la propria parte, e sarà la Regione sul cui territorio è ubicata la diga “a fornire alle altre amministrazioni regionali interessate le informazioni necessarie alla predisposizione e approvazione dei PED nei territori di competenza”.

Fatti salvi gli indirizzi regionali eventualmente emanati in materia di pianificazione di emergenza degli Enti locali, il PED sostanzialmente recepisce i contenuti del Documento di protezione civile, nonché del Piano di laminazione (ove adottato) e, alla luce degli “scenari degli incidenti probabili” precedentemente definiti, individua e pianifica le strategie operative per fronteggiare le situazioni di emergenza connesse ai diversi scenari, “mediante l’allertamento, l’allarme, le misure di salvaguardia anche preventive, l’assistenza ed il soccorso della popolazione”.

Il PED, dunque, non si sostituisce alla pianificazione provinciale e regionale di protezione civile già predisposta, ma ne costituisce un’integrazione, specificamente riferita agli incidenti che potrebbero derivare dalla presenza della diga nel territorio.

Anche i Piani di emergenza comunali e intercomunali dei territori che possono essere interessati da un’onda di piena originata da manovre degli organi di scarico o dall’ipotetico collasso dello sbarramento sono integrati con “una sezione dedicata alle specifiche misure - organizzate per fasi di allertamento ed operative, congrue con quelle dei PED - di allertamento, diramazione dell’allarme, informazione, primo soccorso e assistenza alla popolazione esposta al pericolo derivante dalla propagazione della citata onda di piena”. L’attività di integrazione dei piani comunali e intercomunali si svolge con il supporto della Prefettura-UTG, della Provincia e della Regione.

I Comuni, ad ogni modo, non devono aspettare la redazione dei PED per elaborare la predetta sezione integrativa dei Piani di emergenza. Devono viceversa redigerla anche nelle more della definizione dei PED, sulla base dei Documenti di protezione civile vigenti, dei Piani di laminazione (ove adottati) e delle informazioni utili fornite dagli enti competenti (Regioni, Province, Prefetture-UTG, Distretti idrografici ed Uffici Tecnici per le Dighe) circa gli scenari di pericolosità e di rischio cui fare riferimento. “Particolare cura dovrà essere posta relativamente alla previsione di adeguate iniziative di informazione alla popolazione sul rischio e sulle norme di comportamento da seguire prima, durante e dopo l’evento”.

La Direttiva prevede infine che i PED realizzati siano verificati mediante periodiche esercitazioni di protezione civile.

Si è detto come i PED fossero previsti anche prima della Direttiva Dighe: la Circolare P.C.M. 13 dicembre 1995, n. DSTN/2/22806 disponeva che fossero i Prefetti a redigerli, e questa, verosimilmente, è stata la causa del fatto che in realtà sono stati molto pochi i Piani di emergenza delle dighe effettivamente redatti. Le Prefetture, infatti, non disponevano (né dispongono tutt’oggi) della struttura tecnica necessaria, e nei casi in cui il PED è stato compilato la Prefettura, più che procedere essa stessa alla redazione, ne ha promosso la stesura da parte di gruppi di lavoro formati da tecnici di altri enti e soggetti interessati.

A questa criticità si è pensato di porre rimedio ponendo in capo alle Regioni la redazione dei PED. E tuttavia, a distanza ormai di diversi anni dal varo della Direttiva, ci sono Regioni che non hanno compilato nemmeno un PED. Il motivo di questa inadempienza, con tutta probabilità, risiede nel non avere la Direttiva individuato, nel vasto ambito delle istituzioni regionali, il soggetto su cui specificamente ricade l’incombenza di redigere i PED. Le Regioni sono fatte di molte componenti: le Protezioni civili regionali, i Distretti idrografici regionali, le Autorità di bacino regionali, i Geni civili, gli Enti strumentali, i diversi Assessorati; non mancano casi in cui è “Regione” anche il Gestore della diga. A quale di questi soggetti spetta quantomeno l’iniziativa di promuovere la redazione dei PED? E’ un quesito cui non sempre le Regioni si sono mostrate pronte a dare una risposta.

Quando, in mancanza di specifiche disposizioni da parte delle Giunte regionali, da nessuna delle citate componenti dell’Amministrazione regionale venisse l’impulso alla redazione dei PED, bene farebbero i Sindaci a farsene promotori. E’ ai Sindaci che la Direttiva attribuisce, stavolta in modo preciso e inderogabile, il compito e la responsabilità di elaborare comunque almeno la loro “porzione” di PED, anche nelle more della definizione del PED complessivo. Dovrebbero quindi essere loro ad attivare il procedimento, esigendo il dovuto contributo informativo degli enti competenti individuati dalla Direttiva (Regione, Provincia, Prefettura-UTG, Distretto idrografico e Ufficio Tecnico per le Dighe).

L’Autorità idraulica: Un’altra competenza che la Direttiva assegna alla disciplina delle Regioni è la funzione di “Autorità idraulica competente per l’alveo a valle della diga”. Chi è e cosa fa l’Autorità idraulica?

La normativa in materia di acque pubbliche, in particolare il R.D. 27 luglio 1904, n. 523 e il R.D. 9 dicembre 1937, n. 2669, assegna all’Autorità governativa che opera ai fini della tutela dei corsi d’acqua compiti di:

  • polizia idraulica: vigilanza e controllo sugli interventi di gestione e trasformazione del suolo sulle aree appartenenti al demanio idrico;
  • servizio di piena: vigilanza delle arginature e monitoraggio idrometrico in corso di piena;
  • pronto intervento idraulico: primi interventi urgenti, non strutturali, di contrasto e prevenzione della pericolosità.

Questi compiti, un tempo primariamente assolti dal Genio civile del Ministero dei lavori pubblici, sono stati conferiti alle Regioni e agli Enti locali in forza del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 89.

La Direttiva Dighe assegna all’Autorità idraulica del corso d’acqua sul quale insiste la diga, con il supporto del Centro funzionale decentrato, la validazione della massima portata QAmax transitabile in alveo a valle dello sbarramento contenuta nella fascia di pertinenza fluviale, determinata dal Gestore della diga, e l’indicazione della portata di attenzione Qmin e delle soglie incrementali ∆Q definite nella Direttiva medesima.

Nell’ambito della gestione delle fasi di allerta per “rischio diga” o “rischio idraulico a valle”, la Direttiva prevede che l’Autorità idraulica da un lato riceva le comunicazioni di attivazione delle fasi di preallerta e allerta da parte del Gestore, e dall’altro valuti “le informazioni fornite dal gestore nell’ambito delle proprie procedure”, evidentemente attuando, in relazione ai fenomeni in atto, le azioni di propria competenza. La Direttiva non specifica ulteriormente le azioni spettanti all’Autorità idraulica, lasciando all’Amministrazione regionale, avente competenza esclusiva in materia, di definirle nel dettaglio. Ad ogni modo, dal quadro normativo preesistente e dagli stessi contenuti della Direttiva, è ragionevole assumere che, nella gestione di una allerta riguardante la sicurezza di una diga e il rischio idraulico a valle, le azioni dell’Autorità idraulica possano essere inquadrate nell’ambito del servizio di piena e del pronto intervento idraulico.

La risposta delle Amministrazioni regionali alle disposizioni normative riguardanti l’Autorità idraulica, e in particolare alla Direttiva Dighe, è stata piuttosto eterogenea. La Regione Liguria, ad esempio, ha costituito un’Autorità idraulica regionale deputata a dar corso a tutti gli adempimenti previsti dalla Direttiva, comprendendo, tra questi, la redazione dei Piani di emergenza delle dighe (PED).

La Regione Lombardia ha fatto tutt’altro: ha diviso i corsi d’acqua in categorie, e per ciascuna ha istituito un’Autorità idraulica (l’AIPO per i corsi d’acqua interregionali; la Regione e i Comuni, rispettivamente, per quelli regionali e quelli del reticolo minore). Le funzioni di Autorità idraulica nei corsi d’acqua di livello regionale sono ordinariamente affidate alle STER - Sedi territoriali regionali (ex Geni civili), però è previsto che, sulla base di specifiche convenzioni, le STER (o anche i Comuni, per i corsi d’acqua del reticolo minore) possano affidare il servizio a un Consorzio di bonifica. Può anche essere affidato a un Consorzio, o a una Comunità montana, il solo servizio di polizia idraulica, restando il servizio di piena e di pronto intervento idraulico in capo alla STER o al Comune. Quindi può succedere che, sul medesimo corso d’acqua, le funzioni di Autorità idraulica siano suddivise tra soggetti differenti.

La Regione Sardegna non ha ufficialmente attribuito ad alcuno il titolo di “Autorità idraulica” ai sensi della Direttiva, ma ha comunque risposto: da un lato, la Giunta Regionale ha istituito un “tavolo tecnico”, costituito dalle Direzioni Generali dell’Assessorato dei Lavori Pubblici, dell’Agenzia del Distretto idrografico e della Protezione civile regionale, finalizzato, avvalendosi anche del contributo scientifico dell’Università di Cagliari, a definire i valori delle portate QAmax, Qmin, e ΔQ previsti dalla Direttiva; dall’altro, attraverso il Piano regionale di Protezione civile, ha pianificato il servizio di piena e di pronto intervento idraulico, affidato in ogni provincia al Servizio del Genio civile, talora coadiuvato, sulla base di specifiche convenzioni, dai Consorzi di bonifica. Quindi, in fin dei conti, il cerchio si chiude ugualmente, in quanto c’è una Autorità idraulica di fatto che definisce i valori di QAmax, Qmin, e ΔQ, e altre Autorità idrauliche di fatto che svolgono il servizio di piena e di pronto intervento idraulico.

Va detto, in merito all’Autorità idraulica, che la Direttiva Dighe non poteva in alcun modo dare indicazioni più precise sul soggetto che, nell’ambito dell’assetto organizzativo dell’Amministrazione regionale, avrebbe dovuto svolgere questa funzione. Non solo, come sopra detto, le funzioni dell’Autorità idraulica (e la disciplina di queste funzioni) ricadono ormai nella competenza esclusiva delle Regioni e degli Enti locali, ma infine, nemmeno il citato R.D. 27 luglio 1904, n. 523, primo provvedimento legislativo, tra quelli tutt’ora vigenti, a prevedere un’Autorità amministrativa in materia di regime delle acque pubbliche, individua in maniera univoca questa Autorità, chiaramente demandando a specifici provvedimenti l’individuazione dell’amministrazione pubblica incaricata, a certi fini e in certe circostanze, di svolgere la funzione di autorità di controllo.

Nella Direttiva Dighe esiste però, per l’Autorità idraulica e per le funzioni che è chiamata a svolgere, un elemento coattivo che, come sopra osservato, forse manca nel caso dei PED: è il Documento di protezione civile, di cui è prevista l’approvazione da parte della Prefettura competente. Le attività che la Direttiva richiede all’Autorità idraulica competente per l’alveo a valle della diga, sono tutte esplicitate nel DPC: tanto i valori delle portate QAmax, Qmin, e ΔQ che essa è chiamata a definire, quanto le azioni spettanti nel corso di una piena, naturale o artificiale. Pertanto, nel momento in cui la Regione tardasse a definire il soggetto, o i soggetti, deputati a svolgere le funzioni di Autorità idraulica ai sensi della Direttiva e a pianificarne l’attività, spetterebbe alla Prefettura di sollecitare autorevolmente la soluzione della problematica, affinché il Documento di protezione civile risulti completo e meritevole di approvazione.

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