Un po' come sempre è accaduto per le specie viventi, così le tipologie delle dighe di ritenuta si sono evolute nei secoli non solo in seguito a una sorta di selezione naturale che determinava la riproduzione di alcune caratteristiche vincenti e l'abbandono di altre, ma anche, o meglio soprattutto, in relazione alle condizioni ambientali che suggerivano, e talora imponevano, determinate risposte progettuali. E le condizioni ambientali per una diga sono principalmente rappresentate dalle caratteristiche geometriche e geologiche della stretta destinata ad ospitarla e dalla disponibilità dei materiali con cui realizzarla, oltre che da fattori economici e sociali che in molti casi portano ad orientare la progettazione in una direzione piuttosto che in un'altra.
Su queste basi, la tecnologia delle dighe di ritenuta ha selezionato nel tempo due fondamentali categorie: quella della dighe in materiali sciolti (terra, pietrame o entrambi: terra e pietrame) e quella delle dighe murarie (in muratura di pietrame e, più recentemente, in calcestruzzo); tra le dighe murarie possono poi distinguersi la famiglia delle dighe a gravità e quella delle dighe ad arco.
Fig. 11: Le dighe miste, in terra e
muratura di pietrame, di St. Ferréol (o St. Fériol, Francia, 1675) e di Couzon (Francia,
1812), concepite in modo molto simile (MINARD
1841).
Dimensioni:
St. Ferréol: H = 36 m, L = 871 m, V = 6,3 Mm³
Couzon: H = 35 m, L = 218 m, V = 1,5 Mm³
Va detto da subito che questa classificazione
molto generica, così come altre più articolate
che si possono proporre, è destinata a cadere in
difetto alla luce dell'estrema variabilità delle
tipologie esistenti, che spesso si collocano a
metà strada fra le categorie sopra indicate. Ad
esempio, è assai frequente che una diga muraria
sia concepita per resistere alla spinta
dell'acqua in parte per gravità e in parte per
effetto arco. Altre volte una diga muraria, pur
essendo abbastanza massiccia per funzionare
soltanto a gravità, presenta ugualmente una
planimetria arcuata, o perché ciò consente di
fondarla su una roccia di migliori
caratteristiche o perché il progettista ritiene
di assegnarle una riserva di resistenza non
strettamente necessaria e tuttavia proponibile,
in previsione di eventuali problematiche dovute
a difetti costruttivi o all'obsolescenza
dell'opera.
Allo stesso modo, come esistono le categorie delle dighe in materiali sciolti e delle dighe murarie, così vi sono tanti esempi, antichi e moderni, di dighe miste, con parti in materiali sciolti e parti murarie. Due casi particolarmente conosciuti sono quelli delle dighe francesi di St. Ferréol e Couzon, facenti parte del sistema di sbarramenti e invasi che alimentano il Canal du Midi, gemelle per tipologia eppure realizzate in epoche diverse, la prima ultimata nel 1675 e l'altra nel 1812.
Fig. 12: Diga di Ternavasso, Poirino (Torino), 1600 circa
(BELLINCIONI 1934).
H = 7 m, L = 330 m, V = 250˙000 m³
Per l'Italia non si può fare a meno di citare, tra le dighe in
muratura e materiali sciolti, l'antica,
monumentale diga di
Ternavasso, realizzata intorno al 1600 per
l'irrigazione di una vasta tenuta agricola. La
diga richiama un po' la struttura della diga
romana di Proserpina, di cui si è detto
precedentemente, in quanto è costituita da un
muraglione, sostenuto a monte da contrafforti,
che contiene un rilevato in terra cui è affidato
il compito di sostenere in massima parte la
spinta dell'acqua invasata. Il muraglione, di
circa 7 metri d'altezza e 60 cm di spessore alla
sommità, è formato con mattoni legati con malta
ed è intonacato sulla faccia contr'acqua (fig.
12); in planimetria si sviluppa secondo un
andamento a Z, con tre tratti pressoché
rettilinei di circa 45, 70 e 210 metri, per una
lunghezza complessiva intorno ai 325÷330 metri.
Fig. 13: La diga di El Gasco (per cortesia della
Comunidad de Madrid).
Non sempre l'associazione
di parti sciolte e parti murarie ha dato buoni
risultati. In realtà la diga di tipo misto può
presentare diverse problematiche, di ordine non
solo economico, ma anche tecnico, in quanto
talora assomma gli svantaggi, e non i pregi, dei
tipi omogenei. Le dighe come queste, infatti,
non hanno il pregio di potersi adattare ad una
fondazione deformabile, come le dighe in
materiali sciolti, e nemmeno hanno la robustezza
ed impermeabilità di una diga in muratura
massiccia. Anche i sensibili (e disomogenei)
assestamenti cui sono soggetti i materiali
sciolti sotto carico possono risultare fatali in
uno sbarramento di tipo misto, soprattutto
quando la parte rigida dovesse appoggiarsi sulla
parte sciolta. Peraltro, è sempre delicato,
quando la diga sia composta di terra e muratura,
il problema del contatto tra i due materiali,
che può diventare sede preferenziale di
infiltrazioni, sempre pericolose per il rischio
che ne deriva di dilavamento della terra. Né va
dimenticato il problema delle diverse
caratteristiche fisiche e meccaniche fra terra e
muratura, che assume un particolare rilievo
quando i due materiali siano chiamati a
collaborare. E' eclatante, a questo riguardo, il
caso della diga di
El Gasco, in Spagna, il cui imponente
rilevato ancora oggi esiste, benché
completamente interrito a monte, in una stretta
sul fiume Guadarrama, non lontano da Madrid. La
diga di El Gasco, la cui costruzione fu iniziata
nel 1788, doveva essere alta oltre 93 metri sul
fondo del serbatoio, il che ne avrebbe fatto la
diga più alta del mondo, per quei tempi. La diga
aveva pianta rettilinea, e una volta ultimata
avrebbe raggiunto uno sviluppo al coronamento di
250 m. La struttura doveva consistere in due
muri esterni di spessore costante pari a 2,8 m
realizzati in pietra da taglio e malta,
collegati fra loro da muri trasversali in
muratura ordinaria (pietrame non squadrato e
malta). Lo spazio interno, quindi, risultava
diviso in tanti cassoni, i quali si riempirono
di pietre e di argilla. La costruzione del
gigantesco rilevato era giunta a 57 metri dal
fondo quando, il 14 maggio 1789, un'abbondante
pioggia fece gonfiare l'argilla e produsse la
distruzione di una buona parte del muro di
valle. Il lavoro fu del tutto abbandonato.
Tutte queste potenziali riserve han fatto sì che, complessivamente, la tipologia mista muratura-materiali sciolti non abbia avuto una frequenza paragonabile a quella delle tipologie omogenee. Le dighe in terra, invece, ebbero fin dall'antichità una grande diffusione in Asia, soprattutto in India e Ceylon, dove furono realizzati rilevati di dimensioni imponenti, non tanto per l'altezza, che si mantenne quasi sempre al disotto dei 20÷25 metri, quanto per la lunghezza. Parecchie dighe molto antiche sono tutt'oggi in servizio; tra queste:
All'inizio del XX secolo si stimava che nella sola provincia di Madras vi fossero oltre 40˙000 dighe di terra, ed in quella di Mysore circa 30˙000. Tipicamente, le dighe storiche indiane sono costituite da un massiccio in terra omogenea, costipata facendovi camminare sopra gli operai che trasportavano la terra stessa e la stendevano sul rilevato. I paramenti hanno solitamente scarpate che a monte vanno da 1:1,5 ad 1:3, e a valle da 1:1,5 ad 1:2. Il coronamento è spesso molto largo. Il paramento di monte è rivestito da lastroni di pietra o da una scogliera di pietrame, a protezione del rilevato dal moto ondoso; talora anche il paramento di valle è rivestito (fig. 14), verosimilmente per proteggerlo dagli agenti atmosferici o per prevenire spaccature nei mesi asciutti.
Di norma, la terra di cui le dighe sono costituite è il loess, un materiale particolarmente indicato per formare questo genere di rilevati. Si tratta di un deposito sedimentario molto abbondante nei bacini dei grandi fiumi, costituito da minute particelle di sabbia e argilla, quest'ultima nella proporzione di circa il 33%, ossia quella occorrente per riempire completamente gli spazi fra i granelli di sabbia, e ottenere così la massima impermeabilità, senza tuttavia che il rilevato abbia la tendenza a rigonfiare o franare, come avverrebbe se l'argilla fosse in eccesso rispetto a quella strettamente necessaria. La modesta pendenza dei paramenti contribuisce ulteriormente a minimizzare il rischio di franamenti.
In Europa, le dighe in materiali sciolti si diffusero soprattutto in Inghilterra, in Scozia e nel meridione della Francia. Non essendo qui a disposizione grandi depositi di loess, per gli sbarramenti di rilevanti dimensioni le modalità costruttive si evolsero in modo differente.
Fig. 15: La diga della Vingeanne, esempio tipico delle dighe
in terra francesi, ultimata nel 1905 (LUIGGI 1913).
H = 13 m, L = 1250 m, V = 8,3 Mm³
In Francia (in fig. 15 la diga della
Vingeanne) nel XIX secolo era spesso
utilizzato un miscuglio di ghiaia fine o sabbia
grossa insieme con sabbia fine ed argilla, detto
corroi, il quale doveva contenere solo il
quantitativo d'argilla sufficiente a legare i
granelli di sabbia, realizzando una specie di
malta nella quale l'argilla sostituiva la calce.
Il procedimento costruttivo prevedeva lo stendimento di uno strato di 7 cm di ghiaietto o sabbia grossa, e di 13 cm del miscuglio di sabbia e argilla. Il tutto veniva bagnato con dell'acqua nella quale era stata sciolta della calce idraulica in polvere (il Guillemain indicava un quantitativo di calce in polvere di circa 12 litri per metro cubo di corroi; cfr. GUILLEMAIN 1885), quindi la massa veniva fortemente cilindrata con pesanti rulli a nervature, fino a quando il grado di compressione non fosse tale che le nervature dei rulli non affondavano più nella massa terrosa. Il risultato, una sorta di terra stabilizzata, era un materiale quasi impermeabile, e talmente resistente da poter essere rotto solo con un piccone. Ciò consentiva di assegnare al rilevato dimensioni più contenute rispetto alle dighe indiane, giacché bastavano sia a monte che a valle delle pendenze dell'ordine di 1,5 di base per 1 di altezza. Il paramento di monte era di norma rivestito con una scogliera di pietrame o, nel caso dei rilevati di maggiore altezza, con una muratura a secco formata con pietre lavorate disposte a gradoni.
In Inghilterra, la costruzione delle dighe in terra si diffuse nel XVIII secolo, non tanto per motivi connessi con l'approvvigionamento idrico, quanto per obiettivi di carattere ricreativo e paesaggistico: creare laghetti ornamentali per la pesca e il piacere dei proprietari terrieri, secondo i canoni indicati già nel 1600 da John Taverner in una sua pubblicazione sulla pesca e sugli alberi da frutto. Sulle prime, queste dighe erano dei rilevati omogenei in terra impermeabilizzati con un paramento di monte in puddle, una sorta di calcestruzzo di argilla fatto con ghiaia, sabbia e argilla ben impastato con acqua e poi fortemente compresso. Secondo il Col. John T. Fanning, membro dell'American Society of Civil Engineers, un buon puddle avrebbe dovuto essere composto dalle seguenti proporzioni di materiali (in volume): ghiaia grossolanamente crivellata 1,00; ghiaietto fine 0,35; sabbia 0,15; argilla 0,20. Il volume di miscela risultante sarebbe così pari ad 1,70, che darebbe un volume di puddle compresso pari ad 1,00 (cfr. GOODEL 1899).
Verso la metà del secolo XVIII, l'ingegnere John Grundy prese a collocare l'argilla non più sul paramento di monte, ma in un nucleo centrale, affidando a questo il compito di assicurare l'impermeabilità del rilevato; una tecnica, questa, appresa dall'esperienza tedesca nelle dighe minerarie dell'Harz. La soluzione di Grundy, successivamente adottata da altri ingegneri, divenne il marchio di fabbrica delle dighe inglesi per i secoli a venire. Il principio basilare di questa tecnica (tutt'oggi valido e largamente applicato in tutto il mondo) è che non occorre che tutto il corpo della diga sia composto da materiale impermeabile: basta che lo sia solo una zona, convenientemente dimensionata per assicurare che l'acqua sia effettivamente trattenuta; il resto del rilevato potrà anche essere permeabile, perché ad esso saranno assegnate altre funzioni: stabilità, sostegno e protezione del nucleo dal dilavamento, protezione del rilevato dal moto ondoso. Restringendo peraltro al solo nucleo la funzione della tenuta idraulica, si determinano consistenti economie rispetto al sistema francese.
Fig. 16: La diga di Talla, realizzata a servizio
dell'acquedotto di Edimburgo negli anni 1895-1904 (LUIGGI 1913).
H = 24 m, L = 320 m, V = 12,7 Mm³
Dunque, secondo la tecnica adottata dai
costruttori inglesi, la diga è formata da un
diaframma centrale di puddle incassato nel
terreno di fondazione fino a raggiungere uno
strato sicuramente impermeabile ed elevato fino
alla sommità della diga. A monte e a valle del
nucleo sono disposti due contronuclei in terra
costipata, non del tutto impermeabile ma
abbastanza sottile da impedire il dilavamento
del nucleo in presenza di acqua. Infine, a monte
e a valle dell'insieme nucleo-contronuclei, sono
disposti due corpi di maggiori dimensioni
formati da materiale più grossolano e
permeabile, ai quali è affidata la funzione di
garantire la stabilità del rilevato e il
sostegno dei corpi centrali. Il paramento di
monte è spesso protetto dall'azione del moto
ondoso mediante un rivestimento in pietrame. Dal
momento che il rilevato è formato da materiale
meno coerente che nelle dighe francesi, le
pendenze dei paramenti sono corrispondentemente
minori. Solitamente al paramento di monte erano
assegnate pendenze dell'ordine di 2 o 3 di base
per 1 di altezza, e a quello di valle di 1,5÷2,5
di base per 1 di altezza. Non era infrequente,
tuttavia, che si adottassero pendenze ancora
minori, come nella diga di
Talla in fig. 16, ai cui paramenti fu
assegnata una scarpa di 4 a 1.
In Italia le dighe in materiali sciolti non ebbero, fino al XX secolo, grande diffusione, se non nel caso di piccoli sbarramenti in terra al servizio di fondi privati, con l'unica notevole eccezione della diga de La Spina a Pralormo (TO), uno sbarramento in terra compattata, ultimato nel 1830, che raggiungeva l'altezza di 20,2 metri, giungendo ad invasare oltre un milione di metri cubi. La diga de La Spina rappresenta, nell'ambito degli sbarramenti in materiali sciolti, la più antica "grande diga" italiana secondo l'attuale definizione normativa (altezza superiore a 15 metri sul piede dei paramenti e/o volume di invaso superiore a 1 Mm³), il che le assegna un particolare interesse storico e monumentale.
Fig. 17: Diga de La Spina, Pralormo (Torino), 1830 (PARETO
1855).
H = 20,2 m, L = 190 m, V = 1,08 Mm³
Quanto le sue dimensioni dovessero sembrare
strabilianti all'epoca della costruzione si
evince dall'ammirata descrizione che ne fece il
naturalista Prof. Giacinto Carena in una sua
memoria del 1829 dedicata ai serbatoi
artificiali (CARENA
1829): "Ultimo per data, questo serbatoio
sarà il primo per la copia delle acque che vi
saranno raccolte alla prodigiosa altezza forse
di 18 metri, le quali, dopo aver dato moto ad un
mulino, potranno adacquare regolatamente ben 400
ettari di terreno". Particolarmente originale
(benché forse difficilmente durevole) appare
anche il sistema che il progettista, Ing.
Giacomo Barabino, immaginò per raccogliere
l'acqua non dal fondo dell'invaso ma dalla
superficie, costituito da un tubo snodato
formato da doghe di legno il cui imbocco veniva
mantenuto prossimo al pelo libero dell'acqua da
un galleggiante sostanzialmente costituito da
due tini (fig. 17). La congiunzione snodata con
la condotta di derivazione che attraversa la
diga era realizzata con una manica di cuoio.
Fig. 18: La diga di Holmfirth, Inghilterra, realizzata negli
anni 1839-1843, dopo il collasso avvenuto nel 1852 (ILL.
LONDON NEWS 1852).
H = 20,4 m, L = 90 m, V = 300˙000 m³
L'ammirazione dei contemporanei per le
strabilianti dimensioni della diga de La Spina
può ben comprendersi alla luce del fatto che
ancora per tutto il XIX secolo, sulla base delle
esperienze accumulate fino ad allora, non si
riteneva possibile realizzare ritenute
considerevoli con dighe in terra. In ogni caso,
al di sopra dei 25÷30 metri di altezza la diga
era da realizzarsi in muratura di pietrame.
Fig. 19: Dale Dyke, Inghilterra, i cui lavori di costruzione
iniziarono nel 1859 ed erano quasi completati, nel marzo 1864,
quando avvenne il collasso della diga, che qui si vede sulla
sinistra, da valle, dopo il disastro (ILL.
LONDON NEWS 1864).
H = 30,5 m, L = 365 m, V = 3,2 Mm³
Anche alcuni disastri avvenuti in Inghilterra
(diga di
Holmfirth, 1852, 81 morti; diga
Dale Dyke, 1864, 244 morti nella città di
Sheffield, che ne fu devastata) non
contribuivano a presentare le dighe in terra
come una tipologia utilizzabile per alti
sbarramenti.
Nei primi decenni del XX secolo in Italia ebbe una notevole diffusione la tipologia delle dighe in scogliera, studiata e promossa, sulla scorta di diverse realizzazioni americane, dall'Ing. Luigi Luiggi, professore di costruzioni idrauliche al Regio Politecnico di Roma. L'opzione della diga in scogliera appariva particolarmente indicata soprattutto in alta montagna, dove in massima parte furono realizzate le opere di questo tipo, sia in quanto non vi erano disponibili grandi masse di terra o d'altri materiali occorrenti per costruire le dighe di terra, sia per le notevoli difficoltà di approvvigionamento del cemento necessario per una diga muraria e per la particolare brevità della stagione di eseguibilità dei getti del calcestruzzo.
Fig. 20: La diga del lago Vargno, Fontainemore (AO), 1918
(SCIMEMI 1928).
H = 26 m, L = 110 m, V = 1,14 Mm³
(dati relativi allo sbarramento originario)
Le dighe in scogliera italiane ed europee di
questo periodo non erano formate, come
solitamente quelle americane, con pietrame alla
rinfusa, bensì con pietrame sistemato a mano,
pratica, questa, finalizzata a ridurre la
percentuale di vuoti e, conseguentemente, gli
assestamenti nel rilevato. L'elemento di tenuta
era rappresentato dal paramento di monte,
costituito di muratura con malta di cemento con
sovrapposto uno strato di bitume e un manto in
bolognini o, talora, di calcestruzzo di cemento
con soletta di cemento armato sovrapposta,
suddivisa in lastroni da giunti
impermeabilizzati con lamierino e spesso
calafatati. Tra gli esempi più eminenti, dal
punto di vista dimensionale, si possono citare
la diga di
Codelago, la più antica (1912, in provincia
di Novara, 27,7 metri di altezza sulla
fondazione, escludendo il muro di taglione),
lago Vargno (1918, Aosta, 26 m, fortemente
ridotta di altezza negli anni '60),
lago Vannino (1921, Novara, 27 m) e
Piana dei Greci, oggi Piana degli Albanesi
(1923, Palermo, 41 m).
Fig. 21: La diga di Piana dei Greci, Piana degli Albanesi,
(PA), 1923 (MANGIAGALLI 1925).
H = 48 m, L = 260 m, V = 32 Mm³ (volume di invaso originario)
E' degna di nota, nella
diga di Piana dei Greci e prima ancora in quella
del lago Vargno, la particolare disposizione del
pietrame che il progettista di entrambe, Ing.
Luigi Mangiagalli, previde per la formazione del
rilevato. Il pietrame, grossolanamente squadrato
a mano, veniva sistemato su superfici concave e
distribuito sulla sezione trasversale,
collocando gli elementi più grossi e regolari in
prossimità dei paramenti. Inoltre, la massa di
pietrame era inquadrata "fra cordonate regolari
longitudinali e trasversali di pietrame più
scelto e regolare che hanno precedenza di
elevazione, formano efficaci legamenti interni,
e riducono sempre più gli effetti
dell'assettamento" (MANGIAGALLI 1925). Le
cordonate per il contenimento del pietrame
sciolto formavano maglie di 12 x 12 m² (fig.
21).
Fig. 22: La diga ai Paduli di Lagastrello, Comano (MS), 1911
(MINISTERO LL.PP. 1926).
H = 27 m, L = 162 m, V = 3,6 Mm³
Insieme con le dighe in
scogliera, nei primi decenni del '900
cominciarono ad essere realizzate in Italia
dighe in materiali sciolti zonate, ispirate al
modello inglese. La prima, che per parecchi anni
fu anche la più rilevante, è la diga ai
Paduli di Lagastrello sul torrente Enza
(1911, in provincia di Massa-Carrara, 27 m). Il
tipo inglese, nel caso di questa diga, si
presenta in realtà alquanto rielaborato (fig.
22). L'impermeabilità della diga è assicurata
non solo dal nucleo centrale in argilla battuta,
ma anche dalla natura stessa della terra che
costituisce il rilevato. A monte è presente un
muro di presidio e di sostegno della scarpata
eseguito in pietrame e malta cementizia. Anche
la scarpata di valle è presidiata da un muro di
sostegno, formato in pietrame a secco, destinato
non solo al contenimento, ma anche al drenaggio
della massa terrosa. Sia il paramento di monte
che il coronamento della diga sono rivestiti da
un selciato a secco allettato su materiale
sabbioso dello spessore di circa un metro e
ricoperto da lastroni in cemento armato.
Un successivo notevole esempio di diga di tipo "inglese" è quello della diga di Nocelle (1931, Cosenza, 34,7 m), anche questa destinata, dopo la sua realizzazione, a rimanere a lungo la maggiore opera italiana del genere. Questo soprattutto per effetto del clima di grande prudenza che, dopo il disastro della diga del Gleno (1923, di cui si dirà più avanti), ispirò la normativa di settore italiana, anche nel campo delle dighe in materiali sciolti. In particolare, il Regolamento per i progetti, la costruzione e l'esercizio delle dighe di ritenuta di cui al R.D. 31 dicembre 1925, n. 2540 previde che l'altezza del carico d'acqua non dovesse eccedere i 20 metri per le dighe in terra, e i 25 metri per le dighe in muratura a secco. Il successivo Regolamento di cui al R.D. 1° ottobre 1931, n. 1370 portò i limiti predetti rispettivamente a 25 e 30 metri, "salvo eccezioni da valutare particolarmente caso per caso". Alcune eccezioni vi furono effettivamente: la stessa diga di Nocelle, la diga in muratura a secco di Gela sul torrente Disueri (1948, in provincia di Caltanissetta, 41 m, successivamente dismessa e sostituita dalla nuova diga di Disueri, realizzata immediatamente a valle), la diga in terra zonata di Vernago (1956, Bolzano, 40 m, successivamente rialzata a 64 m), la diga in scogliera del Cuga, successivamente modificata (1960, Sassari, 54,5 m, il cui progetto fu approvato in vigenza del Regolamento del 1931). Tuttavia, fu solo col Regolamento del 1959, D.P.R. 1° novembre 1959, n. 1363, che anche in Italia le dighe in materiali sciolti poterono liberamente diffondersi senza più limitazioni dimensionali, ormai del tutto anacronistiche alla luce del fatto che la tecnica delle dighe in materiali sciolti si era molto evoluta nel corso della prima metà del secolo. Si può anzi affermare che il XX secolo sia stato il secolo della riscossa delle dighe in materiali sciolti: una più avanzata tecnologia dei materiali e della loro posa in opera, sempre più meccanizzata, e soprattutto il ricorso al pietrame, piuttosto che alla terra, per quelle parti dello sbarramento cui è affidata la stabilità e la portanza del rilevato, han fatto sì che le dimensioni delle dighe in materiali sciolti rapidamente crescessero fino a raggiungere altezze un tempo impensabili, al punto che attualmente alcune delle più alte dighe del mondo (tra tutte la diga di Nurek, 300 m, in Tagikistan), sono appunto dighe di questo tipo. Peraltro, sono forse le dighe in materiali sciolti che attualmente rappresentano la tipologia con maggiori possibilità di diffusione e sviluppo nel campo delle dighe di grande altezza, per via della loro versatilità: non solo la diga in materiali sciolti è meno esigente di una diga muraria per quanto attiene alle caratteristiche fisiche e meccaniche della fondazione, ma generalmente si presta anche, meglio di una diga muraria, ad essere realizzata con materiali reperibili in massima parte presso il sito di costruzione, con evidenti riflessi sull'economicità dell'opera.