La prima diga di Corongiu, sul Rio Bauvilixi, 1866, altezza 21,5 m (più 4
m circa di altezza del blocco di fondazione), sviluppo 105 m (più
20 m di sfioratore in destra), capacità 1,0 Mm³ (1,1 Mm³
dopo il sopralzo dello sfioratore, avvenuto nel 1877) -
Mediateca del Comune di Cagliari. La diga fu demolita
nel febbraio del 1969 a causa del deterioramento della muratura.
Nel 1867, all'atto dell'inaugurazione dell'acquedotto progettato
dall'Ing. Giordano, Cagliari era una città di 35.000 abitanti.
Il bacino di Corongiu era capace di assicurare una disponibilità
giornaliera minima di 4.000 metri cubi, la metà dei quali destinata
alla popolazione ed il rimanente «da servire alla
marina mercantile, ai bisogni straordinari, nonché a provvedere
i villaggi del Campidano attraversati dalla linea
dell'acquedotto» [Acquedotto di Cagliari, Giornale del
Genio Civile - Parte non ufficiale - Anno V - 1867].
A conti fatti, dunque, la dotazione netta per ciascun abitante di Cagliari ammontava originariamente a 57 litri di acqua al giorno. La dotazione lorda (comprendente anche le erogazioni da destinarsi ai servizi predetti) era invece doppia: 114 litri per abitante al giorno.
Nel 1877, dopo 11 anni di esercizio dell'acquedotto, la Società concessionaria, “The Cagliari Gas and Water Company Limited”, allo scopo di incrementare la capienza del serbatoio, sopraelevò di 1 metro il ciglio dello sfioratore, portandolo così da 1,50 a soli 0,50 metri dalla quota di coronamento. Se da un lato ciò consentì di disporre di ulteriori 100.000 m³ di capacità in aggiunta al milione di metri cubi di invaso già disponibili, dall'altro non servì a risolvere in modo duraturo il problema di una erogazione che diventava sempre più deficitaria a causa della rapida crescita della popolazione servita e del progressivo deperimento della condotta adduttrice.
La popolazione di Cagliari, che dal censimento del 1881 risultava di 38.000 abitanti, nel 1901 già era salita a 53.734 abitanti, e nel 1911 a 61.404. Ad un ritmo percentualmente anche più alto cresceva la popolazione degli altri centri del Campidano serviti dall'acquedotto. Nel 1911, aggiungendo ai paesi di Pirri, Monserrato, Selargius, Quartucciu e Quartu già precedentemente allacciati anche il paese di Maracalagonis, verso il quale fu prevista una nuova diramazione, la popolazione complessiva dei centri dell'hinterland serviti dall'acquedotto salì a 27.915 individui. Le stime di crescita della popolazione portavano a prevedere che nel 1941 vi sarebbero stati a Cagliari 88.000 abitanti, e nei paesi serviti 41.000 abitanti complessivi. Era evidente come il vecchio acquedotto del 1866 non potesse far fronte a queste esigenze.
Via via che con gli anni il servizio dell'acquedotto diventava sempre più deficitario, anche a causa delle mal tollerate interruzioni dell'erogazione per le necessarie manutenzioni, pulizie e operazioni di rimozione degli incrostamenti dalle condutture, montava in Cagliari l'impazienza nei confronti della Società concessionaria, ritenuta riluttante ad eseguire tutte le opere integrative necessarie a soddisfare il fabbisogno della città.
Nel 1909 il Comune di Cagliari, per porre fine alle incessanti contestazioni in via amministrativa e giudiziaria sorte con la Società concessionaria, prese la determinazione di riscattare l'acquedotto dalla Società medesima. La Convenzione stipulata nel 1861 tra il Ministero delle Finanze, il Comune e la Provincia di Cagliari riuniti in consorzio e l'Arch. Vincenzo Marsaglia prevedeva in realtà una durata novantennale della concessione, ma contemplava la possibilità che dopo trentacinque anni di esercizio il Consorzio potesse riscattare l'acquedotto, anche mancando il consenso del concessionario.
Subentrato il Comune nell'esercizio dell'acquedotto, al fine di individuare gli interventi necessari per risolvere il pressante problema dell'approvvigionamento idrico fu insediata una Commissione di tecnici composta dai rappresentanti degli Uffici tecnici comunale e provinciale, Ingg. Dino De Gioannis e Stanislao Palomba e da tecnici di nome, tra i quali gli Ingg. Dionigi Scano, Francesco Sanna Manunta e Riccardo Simonetti. Dal lavoro della Commissione scaturirono le proposte che, tradotte dall'Ing. De Gioannis in un progetto di sistemazione generale dell'acquedotto (1911), avrebbero definito il futuro dell'approvvigionamento idrico nel Cagliaritano per i decenni a venire. In particolare, stabilita in 150 litri al giorno per abitante la dotazione da assicurare al capoluogo, sia nell'immediato che per il trentennio successivo tenendosi conto del previsto incremento della popolazione, si prevedeva:
L'insieme delle opere predette, necessarie per una completa sistemazione dell'acquedotto, fu suddiviso in due parti: quelle da realizzarsi in via d'urgenza in quanto necessarie a soddisfare i bisogni immediati della popolazione e quelle da realizzarsi a medio termine per soddisfare i bisogni futuri prevedibili. Nel primo lotto fu ricompreso l'invaso da 541.000 m³, la posa di parte della nuova condotta adduttrice e l'impianto di alcuni tronchi più urgenti di nuove condutture distributrici in città.
Il roboante comunicato del Commissario prefettizio del Comune de
La Maddalena che il 28 giugno 1931 annunciava ai cittadini l'avvio
dei lavori di costruzione dell'acquedotto. Il "chiaccherino da
caffè" aveva, peraltro, qualche ragione: l'Impresa Cacciari fallì e
l'opera fu terminata dall'Impresa Ing. Mario Beer.
La seconda diga di Corongiu fu realizzata come da progetto dell'Ing.
De Gioannis. I lavori ebbero inizio nel 1913 e si conclusero nel
1915.
La terza diga di Corongiu, insieme con la traversa sul Rio Campuomu e la galleria di collegamento tra i due bacini idrografici, furono invece realizzate fra il 1931 e il 1937, su progetto dello stesso Ing. De Gioannis e dell'Ing. Giacomo Crespi, anch'egli dell'Ufficio tecnico comunale. Le dimensioni della diga furono alla fine maggiori di quanto previsto nel 1911 dall'Ing. De Gioannis: la quota di ritenuta superò i 197 m s.l.m., e venne fissata a quota 201. La capacità di invaso, corrispondentemente, risultò superiore, e raggiunse i 4,3 Mm³.
Pressoché coeve rispettivamente della seconda e della terza diga di Corongiu furono la seconda diga di Caprera, sul Fosso Stefano (terminata nel 1916) e la seconda diga di Bunnari (terminata nel 1932), realizzata a servizio dell'acquedotto di Sassari.
Durante il periodo fascista vi furono ancora altre due dighe costruite a scopo acquedottistico: la diga di Puzzoni (1931-1935) sull'isola de La Maddalena, 16,85 metri di altezza sull'alveo e 555.000 m³ di invaso, destinata ad alimentare la città omonima, e la piccola diga di Nasca (1932-1935) sull'isola di San Pietro, 11 metri di altezza e 24.000 m³ di invaso, a servizio della città di Carloforte. Qui l'acquedotto principale, alimentato dalle uniche sorgenti presenti, denominate "Nasca" e "Le Commende", consentiva l'erogazione di appena 6 litri per abitante al giorno, che furono incrementati di 20 litri per abitante al giorno grazie alla realizzazione del piccolo lago artificiale.
Entrambe queste dighe sono tutt'ora in esercizio, pur avendosi nel frattempo provveduto ad alimentare le isole di San Pietro e La Maddalena con condotte sottomarine, captando le acque dei bacini di Monti Pranu e del Liscia.
Risale a questo periodo anche la costruzione della diga sul Rio Loiri, presso il paese omonimo, in località Venafiorita, che rappresenta il primo caso di invaso privato in Sardegna. La diga, in muratura di pietrame e malta di cemento, fu realizzata su progetto dell'Ing. Silvio Sanna negli anni 1928-29, per conto del possidente Cav. Andrea Pintus, già Sindaco di Olbia. E' alta 6 metri sull'alveo e forma un invaso di 200.000 m³. Attualmente l'invaso esiste ancora, ma la diga versa in evidenti condizioni di abbandono, con perdite dalla muratura che creano a valle un acquitrino impraticabile ricoperto da alti rovi ed arbusti.
Resta da riferire, riguardo alle dighe realizzate in Sardegna nei primi decenni del '900, di quelle concepite dall'Ing. Angelo Omodeo sui principali bacini idrografici dell'Isola. Ma alla visione dell'Ing. Omodeo e alle opere che ne scaturirono in Sardegna è necessario dedicare un capitolo a sé stante.