La diga di Monti Pranu in costruzione
«Priva di corsi d'acqua di buona portata estiva,
la Sardegna non può sperare che dai serbatoi l'energia idroelettrica
reclamata soprattutto dai suoi grandi giacimenti metalliferi. Nei
serbatoi troverà la salvezza dalle inondazioni (...) e finalmente l'irrigazione redentrice delle sue riarse
campagne» [Dolcetta, L'impianto del Tirso ed i serbatoi in Sardegna,
1921].
Nel Basso Sulcis, una bonifica fondiaria volta ad eliminare gli inconvenienti sanitari causati dalla mancata regolazione e canalizzazione del Rio Palmas e dei suoi affluenti e a sviluppare un'attività agricola produttiva in una pianura estesa per una superficie di 9000 ettari, era da sempre particolarmente necessaria ed attesa. A sollevare dalla miseria un territorio abbandonato, ove terreni potenzialmente fertili, erano lasciati a pascolo o scarsamente coltivati in prossimità dei centri abitati, in condizioni igieniche gravissime per effetto del paludismo e della malaria che affliggeva e indeboliva una scarsa popolazione, contribuì in modo determinante la costruzione della diga di Monti Pranu, ultimata nel 1955, cinquanta milioni di metri cubi di invaso, infrastruttura nodale della bonifica di quella regione.
Nel primo dopoguerra, le bonifiche nel Basso Sulcis furono inizialmente gestite da imprese private, particolarmente la SASBIA (Società Anonima Sarda Bonifiche Idrauliche ed Agrarie), diretta dall'Avv. Enzo Guastella, e la Società Anonima Bonilay, il cui nome suona anglosassone ma era l'acronimo di un italianissimo "Bonifiche Lay", o meglio "Società Anonima Italiana per Lavori di Bonifica in Sardegna «Prof. Efisio Lay»", dal nome del fondatore e principale azionista della Società (il Prof. Efisio Lay era un medico, possidente e produttore vinicolo di Teulada, molto conosciuto anche a Cagliari, dove fondò la clinica privata che porta il suo nome, in Viale Fra Ignazio). A queste imprese, specificamente rivolte alle attività di bonifica, si aggiungeva anche la Società Chimico-Mineraria, che associava ai preminenti interessi nell'attività estrattiva anche quello nei lavori di bonifica idraulica, particolarmente su terreni di sua stessa proprietà.
Ad incentivare l'iniziativa privata nelle attività di bonifica, qui come in altre zone della Sardegna e del Meridione d'Italia, fu il concorso di diversi favorevoli fattori politici, sociali e, soprattutto, legislativi. Si è detto, nella pagina dedicata a Santa Chiara d'Ula, come già la legge Nitti-Sacchi del 1913 per la costruzione dei serbatoi sul Tirso e sui fiumi silani esprimesse l'orientamento governativo di favorire e finanziare, attraverso l'istituto della concessione, l'iniziativa delle società private nella bonifica integrale del territorio, intendendosi per "bonifica integrale" un insieme di interventi integrati di sistemazione idraulica dei bacini montani, costruzione di serbatoi artificiali per la produzione di energia elettrica e per l'irrigazione e trasformazione fondiaria a valle. Si riteneva, piuttosto fondatamente, che un intervento di bonifica integrato, e anche coercitivo, valesse a superare egoismi e particolarismi da parte dei proprietari terrieri, spesso per niente disposti ad investire le proprie finanze nella bonifica dei loro possedimenti, dai quali potevano comunque ricavare un reddito garantito derivante dalle colture asciutte o dai canoni di affitto dei terreni lasciati a pascolo.
Questo orientamento governativo fu pienamente confermato dal Testo Unico delle leggi sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi di cui al R.D. 30 dicembre 1923, n. 3256, finalizzato a comprendere e integrare in un disegno organico l'insieme delle norme sulle bonifiche emanate dall'inizio del secolo. Il concorso dello Stato nel finanziamento dei lavori era differenziato per le diverse regioni e veniva graduato in relazione al rilievo sociale delle opere di bonifica, distinguendo tra opere e bonifiche di 1ª e 2ª categoria a seconda che queste presentassero, oppure no, "vantaggi igienici od economici di prevalente interesse sociale". In Sardegna, per le bonifiche di 1ª categoria, il concorso finanziario dello Stato ammontava ai tre quarti della spesa; un ulteriore 12,5% era a carico della provincia; il restante 12,5% della spesa rimaneva a carico dei proprietari dei fondi inclusi.
La posizione di vantaggio dei concessionari delle opere di bonifica rispetto ai proprietari dei terreni inclusi nel comprensorio si concretava nella facoltà attribuita al concessionario di espropriare i terreni previsti nel piano di bonifica. Mentre la citata legge Nitti-Sacchi del 1913, rimandando al Testo Unico dei provvedimenti per la Sardegna di cui al R.D. 10 novembre 1907, n. 844, prevedeva l'esproprio nel caso in cui i proprietari dei terreni si fossero rifiutati di acquistare l'acqua per l'irrigazione, il Testo Unico del 1923 (art. 38) prevedeva la facoltà di esproprio tout court: «Nell'atto di concessione potrà essere stabilito che nei tre mesi dalla data di notifica del provvedimento di concessione, il concessionario deve presentare il piano delle trasformazioni colturali o delle utilizzazioni industriali che intende attuare in tutto il comprensorio soggetto a bonifica o in parte di esso. Approvato il piano dal Ministero dei Lavori Pubblici, di concerto con quello dell'Economia Nazionale, il concessionario ha facoltà di espropriare i terreni previsti nel piano medesimo». Il successivo R.D.L. 18 maggio 1924, n. 753, "Provvedimenti sulle trasformazioni fondiarie di pubblico interesse" (art. 4) mitigò un po' il provvedimento, precisando che il concessionario avrebbe potuto essere autorizzato ad espropriare gli immobili del comprensorio «suscettibili di importanti trasformazioni colturali o di utilizzazioni industriali».
Il Prof. Paolo Pili (1891-1985) e il Gen. Carlo Sanna
(1859-1928), promotori della
"Legge del miliardo"
Un ulteriore incentivo all'iniziativa delle imprese capitalistiche
nel campo della bonifica venne, in Sardegna, dalla cosiddetta "Legge
del miliardo" (R.D.L. 6 novembre 1924, n. 1931), fortemente
propugnata dal deputato Paolo Pili insieme con altri parlamentari
sardi, tra i quali spiccava allora, per autorevolezza e prestigio, il Gen.
Carlo Sanna, "Su Babbu Mannu", comandante, durante la
Grande Guerra, della 33ª Divisione dell'Esercito, di cui faceva
parte la stradecorata Brigata Sassari. Come per altri militari
della sua epoca, nell'Italia democratica e repubblicana la memoria
del Gen. Sanna finì per essere gravemente oscurata dall'essere stato, oltre che un gran soldato,
un convinto partecipe dei misfatti della dittatura fascista.
Fu il primo presidente del Tribunale speciale per la
difesa dello Stato, braccio operativo del regime
contro gli oppositori politici. L'ironia della sorte (o la giustizia
degli uomini) ha fatto sì che a Cagliari la piazza un tempo
intitolata al Gen. Sanna, sulla quale si affaccia il Parco delle
Rimembranze, dedicato alle gesta e all'eroismo dei suoi soldati, sia oggi intitolata al più illustre dei
condannati dal Tribunale speciale: Antonio Gramsci.
La "Legge del miliardo" prevedeva lo stanziamento di un miliardo di lire in dieci anni «per opere pubbliche straordinarie, nonché per opere di carattere igienico sociale nell'isola di Sardegna, da eseguirsi a cura diretta dello Stato o a cura degli Enti locali, col concorso dello Stato».
Nel giugno del 1924 la Bonilay presentò una domanda di concessione per la bonifica del Rio Palmas, corredata poi, nel febbraio 1927, dal relativo progetto. Il fascicolo non prevedeva ancora la realizzazione di una diga di ritenuta, ma soltanto la sistemazione, per un certo tratto, degli affluenti rii Mannu di Narcao, Mannu di Santadi, Gutturu de Ponti, Piscinas, Cabriolu e Putzolu, e infine dello stesso Rio Palmas fino alla foce. Contemporaneamente, la SASBIA eseguì uno studio per la sistemazione di tutta la pianura costiera estendentesi da Matzaccara a oltre lo stagno di Porto Botte, per giungere all'irrigazione di tale zona. Né l'una né l'altra società ottenne, tuttavia, la concessione per le opere di bonifica prospettate, sia perché si trattava di progetti tra loro confliggenti, sia perché nessuno degli interventi proposti appariva sufficientemente "integrale": vi era considerata la canalizzazione della parte valliva dei corsi d'acqua confluenti nel Rio Palmas, ma non la sistemazione della parte più alta del bacino, né la possibilità e la convenienza di integrare la sistemazione idraulica degli alvei con serbatoi di regolazione delle piene, il cui invaso potesse anche essere utilizzato per i bisogni dell'agricoltura.
I 46 invasi ipotizzati in Sardegna dal
Servizio Idrografico nello studio del 1928. In blu quelli già
realizzati nel 1934 (...)
Un importante contributo tecnico e progettuale a questo riguardo venne, nel 1928,
dalla pubblicazione del Servizio Idrografico del Ministero dei
LL.PP. "Risorse idrauliche per forza motrice utilizzate e ancora
disponibili - Fascicolo II - Sardegna", nella quale, per
l'intero territorio regionale, veniva esaminata la possibilità di
creare serbatoi artificiali in rapporto alle caratteristiche fisiche
e idrologiche dei bacini idrografici di interesse, venivano
individuate le sezioni ove più fattibile e conveniente sarebbe stato
realizzare una diga di ritenuta, e veniva infine eseguito, per
ciascuno sbarramento ipotizzato, un primo dimensionamento dell'opera
e del serbatoio sulla base dell'estensione e delle prevedibili
esigenze del comprensorio da servire.
A sinistra, gli sbarramenti sul bacino del Rio Palmas previsti dal
Servizio Idrografico nel 1928 (...)
In particolare, per il bacino del Rio Palmas, la
cui estensione si stimava in 476 km², il
Servizio Idrografico previde la possibilità di
realizzare tre serbatoi: il primo sul Rio Mannu
di Narcao a Serra Murdegu, della capacità di
16,50 milioni di metri cubi; il secondo sul Rio
Gutturu de Ponti, della capacità di 21,15 Mm³;
il terzo sul Rio Palmas alla stretta di Monti
Pranu, della capacità di 24 Mm³: «Il Rio di
Palmas verrebbe sbarrato alla stretta di Monti
Pranu, costituita di trachite lavica affiorante.
Per giungere col massimo invaso alla quota
prevista di m 41,50 s.m. saranno necessari,
oltre la diga vera e propria, anche due tronchi
di diga in terra, con ritenuta inferiore a m 6,
per chiudere due varchi dai quali l'acqua
tracimerebbe; tali varchi potrebbero anche
utilizzarsi come sfioratori di superficie (...).
I terreni che si irrigherebbero con le
erogazioni dei tre impianti (ettari 6000)
costituiscono una vasta pianura in ottime
condizioni per l'agricoltura; anzi, fatto
piuttosto insolito in Sardegna, esistono già
nuclei rurali che renderebbero meno difficile il
passaggio dalla coltura estensiva a quella
intensiva» [Servizio Idrografico del
Ministero dei LL.PP., Risorse idrauliche per
forza motrice utilizzate e ancora disponibili -
Fascicolo II - Sardegna, 1928].
Profilo longitudinale, planimetria e sezione maestra della diga
principale, secondo il progetto di massima della Bonilay 9 ottobre
1929
Sulla scorta dello studio del Servizio Idrografico, nel settembre
del 1929 la Bonilay ripresentò la domanda di concessione, stavolta seguita, a breve distanza di tempo, dal progetto di massima della diga sul Rio Palmas a Monti Pranu.
La diga, insieme con gli sbarramenti accessori,
ricalcava planimetricamente quella indicata nella pubblicazione del
Servizio Idrografico, ma raggiungeva in progetto i 38,80 m sulla
fondazione, portando la quota massima di regolazione a 45,35 m
s.l.m. ed il volume invasato a 40 Mm³ (contro i 41,50 m s.l.m. e i
24 Mm³ rispettivamente previsti dal S.I.). La diga principale era
prevista a gravità, con pianta leggermente arcuata; gli sbarramenti
accessori (Bastuppa, Case Miais, Bavorada e Coremò) tutti in materiali
sciolti. Sull'argine di Bavorada doveva correre il nuovo tracciato ferroviario. A circa 200 metri di distanza dalla diga principale, in
sinistra idraulica, era previsto lo sfioratore di superficie,
costituito da quattro luci di 3,50 metri di larghezza ciascuna, con
soglia a quota 43,55 m s.l.m., regolato da paratoie a settore di
1,80 metri di altezza.
La corografia generale del progetto di massima 9 ottobre 1929
della diga di Monti Pranu e sbarramenti accessori (Bastuppa, Case
Miais, Bavorada e Coremò)
I disegni dello sfioratore di superficie nel progetto di massima 9 ottobre 1929
Al di fuori dello specchio del serbatoio, il progetto 1929
confermava i contenuti del progetto 1927, e dunque la prospettata
sistemazione degli affluenti a monte dell'invaso e dello stesso Rio
Palmas a valle della diga. Fu tuttavia presentata, nel maggio del
1930, un'integrazione relativa alla sistemazione del Riu Mannu di
Santadi e degli affluenti Riu Siriddi e Riu Rigau, e del Riu Mannu
di Narcao e dell'affluente Riu de Candiazzus. Era prevista inoltre
la difesa dalle piene dell'abitato di Villaperuccio, prossimo al
Mannu di Narcao, e la ricostruzione di un ponte sul rio appena fuori
dall'abitato medesimo.
Il progetto della Bonilay fu accolto con interesse dagli Uffici regionali e centrali del Ministero dei Lavori Pubblici. Ciononostante, la Società non ebbe la concessione dei lavori, ad eccezione di un primo stralcio di lavori urgenti limitato alla difesa dell'abitato di Villaperuccio e alla ricostruzione del ponte sul Riu Mannu di Narcao. La ragioni furono diverse: da un lato l'interferenza fra l'iniziativa della Bonilay e quelle delle altre Società che operavano nello stesso territorio; dall'altro i dubbi degli Uffici ministeriali su una proposta che contemplava la realizzazione di un solo grande bacino di ritenuta invece dei tre ipotizzati dal Servizio Idrografico; dall'altro, ancora, l'ostilità delle autorità locali fermamente schierate con i promotori dei consorzi dei proprietari.
Il Prof. Silvio Vardabasso (1891-1966) e, a sinistra, il
frontespizio della sua relazione geologica, datata 31 agosto 1932,
sulla prospettata realizzazione del serbatoio di Monti Pranu
La Bonilay si impegnò con buona efficacia a
riscontrare le obiezioni di natura tecnica al suo
progetto. Dapprima, nel gennaio del 1931,
presentò una relazione aggiuntiva nella quale si
dimostrava, sulla base di più accurati rilievi
sull'area destinata ad ospitare l'invaso, che
alla quota massima di regolazione inizialmente
prevista di 45,35 m s.l.m. il bacino di Monti Pranu avrebbe raggiunto non 40, ma 53,3 Mm³ di
volume invasato. Per ottenere i 40 Mm³ di invaso
occorrenti all'irrigazione di 7500 ettari
sarebbe bastato raggiungere quota 42,70 m
s.l.m., e ciò in nessun modo avrebbe inibito la
possibilità di realizzare successivamente gli
altri due invasi prospettati dal Servizio
Idrografico. L'anno successivo, la Bonilay
impreziosì il fascicolo progettuale con una
relazione tecnica dell'eminente geologo Prof.
Silvio Vardabasso, che in esito ad approfonditi
studi e rilievi attestava la fattibilità e la
prevedibile lunga durata dell'opera, attese le
buone caratteristiche delle rocce d'imbasamento
della diga principale e delle dighe secondarie,
l'impermeabilità della zona d'invaso e
l'abbondante disponibilità, a breve distanza
dalle opere previste, di materiali idonei da
impiegare nella loro costruzione. Peraltro,
nell'agosto del 1930 Bonilay, SASBIA e
Chimico-Mineraria perfezionarono un accordo
circa la delimitazione dei comprensori di
rispettiva competenza, il che portò la SASBIA a
ritirare i reclami inizialmente presentati sulla
richiesta di concessione delle opere di bonifica
del Rio Palmas da parte della Bonilay. Un anno
dopo, nell'agosto del 1931, le tre Società
definirono un programma unitario di interventi
nel quale le rispettive proposte, pur restando
tra loro distinte, si integravano senza
sovrapporsi in un organico e unitario progetto
di bonifica dell'intero comprensorio.
Ma le difficoltà e le opposizioni di natura politica, le stesse che, come abbiamo visto in un'altra pagina, inibirono i programmi della Società Bonifiche Sarde dell'Ing. Dolcetta, non poterono essere superate. Col R. decreto-legge 29 novembre 1925 n. 2464 il rapporto di forze tra società private concessionarie (o aspiranti alla concessione) delle opere di bonifica e proprietari dei terreni inclusi nel comprensorio si era invertito completamente; al consorzio dei proprietari, ove costituito, si accordava la preferenza, nella concessione dei lavori di bonifica, rispetto a chiunque altro: "Il consorzio dei proprietari interessati (…) potrà essere autorizzato dal Governo a sostituirsi a qualsiasi altro aspirante alla concessione, previo rimborso di tutte le spese sopportate per la compilazione dei progetti e il procedimento di concessione. La misura delle spese da rimborsare sarà determinata con decreto del Ministro per i lavori pubblici, il quale potrà anche esigere dal consorzio la prestazione di idonea cauzione, a garanzia dell'effettivo eseguimento delle opere".
Così accadde anche in questo caso. Nel 1931, mentre le Società Bonilay, SASBIA e Chimico-Mineraria definivano il loro programma comune, erano già in atto le iniziative dei proprietari di Palmas Suergiu di riunirsi in consorzio, come si legge in un'accorata lettera che il 15 aprile 1931 l'amministratore delegato della SASBIA, Avv. Guastella, inviò al Dott. Eliseo Jandolo, Direttore Generale per la bonifica integrale: "Ora che si sarebbe avvicinata la fase risolutiva del giusto premio di tante fatiche, sorge il solito consorzio per ritardare, se non addirittura frustrare, l'apporto di questa somma considerevole di studi, di progetti, di accordi finanziari preordinati pazientemente a così encomiabile finalità. (...) Desidererei che Ella segnalasse a S.E. Serpieri [sottosegretario al Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, ndr] la opportunità di soprassedere al riconoscimento del consorzio che sarebbe stato giustificabile soltanto all'inizio dell'attività sociale della SASBIA, non ora che potrebbe provocare illecite ingerenze per l'accaparramento dei lavori" [Checco, Stato, finanza e bonifica integrale nel Mezzogiorno, 1984].
E invece non solo fu formalmente costituito, con R.D. 11 aprile 1932, il Consorzio di Bonifica del Rio Palmas, successivamente denominato Consorzio di Bonifica di Palmas Suergiu, con presidente Vittorio Tredici, deputato in Parlamento e segretario dell'Unione provinciale dei sindacati fascisti dell'industria, ma furono di seguito costituiti, nel Basso Sulcis, il Consorzio di Narcao (R.D. 26 maggio 1932) e il Consorzio di Serbariu (R.D. 15 settembre 1932). Lo stesso giorno, 15 settembre 1932, il Consorzio di Bonifica di Palmas Suergiu e il Consorzio di Narcao, si riunivano, seguiti dal terzo il 12 gennaio 1933. Nascevano così i Consorzi Riuniti del Basso Sulcis, che mantenevano amministrazioni separate sotto la presidenza unica di Vittorio Tredici.
Vittorio Tredici (1892-1967)
Era questi un esperto riconosciuto nei problemi dei minatori e
delle miniere e un rispettato dirigente politico, ex combattente decorato, già
podestà di Cagliari, profondamente religioso e
sinceramente impegnato a migliorare le dure
condizioni di vita e di lavoro dei minatori
sardi. Fascista convinto, ma anche strettamente
legato al mondo cattolico nelle sue varie
articolazioni, di fronte alla battaglia del
fascismo contro gli ebrei e l'Azione cattolica e
alla guerra a fianco della Germania
paganeggiante e anticattolica, non ebbe
esitazioni a far prevalere la sua fede religiosa
allontanandosi da quella politica. Trovandosi a
Roma durante l'occupazione tedesca, soccorse e
nascose nella sua casa ebrei e partigiani,
aiutandoli poi a trovare ospitalità e rifugio
presso istituti religiosi, con ciò mettendo a
grave rischio sé stesso e i propri familiari.
Nel 1997, trent'anni dopo la sua morte, il nome
di Vittorio Tredici venne scolpito sul Muro
d'Onore dei Giusti tra le nazioni nel memoriale di Yad
Vashem. Uno dei tre sardi, con Salvatore Corrias e Girolamo Sotgiu,
tra i 766 italiani (al
1° gennaio 2022).
L'impegno di Tredici nei consorzi di bonifica non si inseriva tanto nella disputa in atto fra società private aspiranti alla concessione dei lavori e possidenza fondiaria; certo, vedeva di buon occhio e favorì la costituzione dei consorzi, ritenendo che i guadagni della bonifica non dovessero essere sottratti all'economia terriera a vantaggio di "società di pura speculazione". Tuttavia, la sua principale finalità era un portato della sua attività di sindacalista: egli vedeva nei consorzi un potenziale sbocco lavorativo per i tanti minatori che perdevano il lavoro in conseguenza dell'instabilità del settore minerario. "Il problema centrale consiste dunque nell'assorbimento non temporaneo, ma definitivo di migliaia di lavoratori che da secolare tradizione sono sottratti all'economia terriera. Ruralizzazione effettiva e duratura; questo è dunque il fine ultimo cui deve mirare, con continuità di propositi e di azione l'Ente, necessariamente pubblico, che si assume la responsabilità dell'esecuzione delle opere di bonifica e trasformazione, le quali non sono che un mezzo per raggiungere attraverso la redenzione della terra il più vasto compito della rieducazione delle masse lavoratrici". In questi termini, nell’ottica di Tredici, il finanziamento delle opere di bonifica da parte dello Stato diventava, più che il prezzo dell'alleanza del regime fascista con la proprietà terriera, un veicolo di risanamento economico e sociale a vantaggio delle classi più povere. Vittorio Tredici restò alla guida dei Consorzi Riuniti fino all'agosto del 1934, quando rassegnò le dimissioni "per uniformarsi alle recenti disposizioni di massima circa il divieto di cumulo delle cariche". Successore di Tredici fu nominato l'Ing. Antonio Salis.
Con Decreto del Ministero dell'Agricoltura 15 aprile 1933, i Consorzi Riuniti subentrarono alle Società Bonilay e SASBIA nell'esecuzione dei lavori di bonifica dei rispettivi comprensori. Il Decreto, oltre che prescrivere il subentro dei Consorzi Riuniti nella concessione, disponeva anche il finanziamento di un primo lotto di lavori, denominati "Sistemazione del Rio Santu Milanu", per complessive lire 1˙770˙749,80 a totale carico dello Stato. Alcuni mesi prima, il 24 novembre 1932, i Consorzi avevano stipulato una convenzione con l'ISBI, Istituto Sardo per la Bonifica Integrale, che assumeva il finanziamento e l'esecuzione di tutte le opere ad essi concesse. Anche per il comprensorio del Basso Sulcis si realizzò così l'ingresso dell'Istituto controllato e finanziato dal Credito Italiano. Sulla base della convenzione predetta, l'ISBI, quale ente finanziatore ed esecutore delle opere, anticipò ai Consorzi, con un interesse annuo del 5%, 1˙500˙000 lire di cui 1˙200˙000 lire (circa 1,5 milioni di euro attuali) furono necessarie per estromettere le Società private Bonilay e SASBIA e acquistarne i progetti, e il resto per l'aggiornamento e l'integrazione dei progetti medesimi. L'esecuzione dei lavori fu affidata all'Impresa Costruzioni Stradali in Sicilia (ICSIS), anch'essa collegata al Credito Italiano.
Alla fine del 1933, a seguito della vendita della Società mineraria Bacu Abis alla Società mineraria Carbonifera Sarda, si erano resi disponibili i poderi dell'azienda agraria annessa alla miniera, non rilevati dalla subentrante. Per interessamento di Tredici, l'azienda agraria fu venduta all'ISBI ed entrò a far parte dei terreni di competenza dei Consorzi Riuniti del Basso Sulcis. Nella circostanza, l'ISBI si impegnò a utilizzare per l'esecuzione dei lavori e per l'assegnazione dei lotti bonificati gli operai licenziati dalla miniera di Bacu Abis dalla nuova gestione. Furono così approntati, con finanziamenti pubblici di diversa provenienza per un ammontare di 975˙000 lire, 27 poderi estesi tra i 16 e i 20 ettari, dotati di fabbricati, stalle, pozzi e acqua. Furono costruite strade poderali e fornite ai coloni scorte e bestiame. Fu inoltre anticipato ad essi il necessario per il mantenimento della famiglia.
Nella seconda metà del 1934 la questione della ruralizzazione dei minatori sardi in eccesso si ripropose. Lo stesso Mussolini, dopo aver richiamato il problema all'attenzione del Ministero dell'Agricoltura, invitò il prefetto di Cagliari a presentare un progetto per la sistemazione agricola di un numero variabile tra i cento e i cinquecento minatori disoccupati. Il prefetto, con la collaborazione di Tredici, presentò un piano per la sistemazione di 100 poderi. Con Decreto dell'11 gennaio 1935 il Ministero dell'Agricoltura affidò i lavori ai Consorzi Riuniti del Basso Sulcis nell'ambito di un secondo lotto di interventi il cui finanziamento era previsto per l'87,5% a carico dello Stato, per complessive £ 971˙250, e per il 12,5%, corrispondente a £ 138˙750, a carico dei proprietari. Tra i lavori del lotto figurava anche la realizzazione della strada Matzaccara-bivio per Tratalias. Col medesimo Decreto era concesso ai Consorzi Riuniti, e finanziato con 854˙000 lire a totale carico dello Stato, un terzo lotto di lavori riguardanti la sistemazione del Riu Arriga.
Sezioni trasversali sullo scarico di fondo e
sullo scarico di superficie principale in
sinistra secondo il progetto 1934
Il quarto lotto di interventi
sarebbe stato quello relativo alla realizzazione
dell'invaso di Monti Pranu.
Nell'agosto del 1934 i Consorzi presentarono il progetto esecutivo delle
opere, curato dall'ISBI, a firma dell'Ing.
Emilio Battista, unitamente alla domanda di
concessione di un primo stralcio di lavori
riguardante opere preliminari (strada di accesso
al cantiere, deviazione della ferrovia privata
Pantaleo – Porto Botte, casa di guardia, linee
ed impianti elettrici e telefonici,
espropriazioni).
Il progetto prevedeva non più uno sfioratore indipendente dalla diga principale, ma due sfioratori in corpo diga: il principale in sinistra, capace di evacuare 900 m³/s, formato da tre luci di 10 m di larghezza con soglia a quota 36,50 m s.l.m., regolate da altrettante paratoie piane di 7 m di altezza; il secondo in destra, formato da una batteria di sifoni autolivellatori con innesco a quota 41,00 m s.l.m., capaci di evacuare fino a 150 m³/s. Il volume di invaso disponibile per l'irrigazione, delimitato dalla quota massima di regolazione di 41,00 m s.l.m., sarebbe stato di 36,5 Mm³; il volume disponibile per la laminazione degli eventi di piena, compreso fra 41,00 e 43,50 m s.l.m. sarebbe stato invece di 13,5 Mm³, per un volume totale di invaso di 50 Mm³. Gli sbarramenti secondari Bastuppa, Case Miais e Bavorada erano tutti, stavolta, previsti in muratura di pietrame; solo l'argine di Coremò rimaneva in materiali sciolti.
La sezione longitudinale della diga (vista da monte) nel progetto esecutivo 1934