Le quattro facciate del cartoncino illustrativo che, il 1°
maggio 1921, fu distribuito dalla Società Imprese Idrauliche ed
Elettriche del Tirso ai partecipanti alla visita del Touring Club
Italiano presso il cantiere della diga. La descrizione degli
impianti riportata nella seconda pagina, trascritta nel seguito di
questa didascalia, ben illustra quale fosse l'importanza dell'opera,
e l'ampiezza degli interessi che il "Gruppo Sardo" aveva in Sardegna e
l'entità degli investimenti che vi aveva programmato:
«DESCRIZIONE SOMMARIA DEGLI IMPIANTI - La diga di Santa Chiara
costituisce la prima delle opere che il gruppo finanziario delle
Imprese Idrauliche ed Elettriche del Tirso (Banca Commerciale,
Meridionali e Vickers Ltd.) si è proposto di compiere in Sardegna.
Essa crea un serbatoio completamente artificiale che contenendo 416
milioni di metri cubi, sarà il più grande del mondo. Regolando le
acque che scolano da un bacino imbrifero di circa 2100 chilometri
quadrati, si escluderanno le piene del Tirso che ora riescono
disastrose per la regione sottostante e si integreranno 20.000 litri
al secondo di portata costante per l’irrigazione di circa 30.000
ettari della pianura Oristanese.
L’insieme delle opere è stato ideato e studiato dall’ingegnere
Angelo Omodeo. Per la diga si prescelse il tipo ad archi multipli
proposto dall’ingegnere Luigi Kambo.
L’opera è alta circa 70 metri sul punto più basso che si dovette
raggiungere colle fondazioni per trovare la roccia insospettabile.
Il dislivello massimo tra i peli d’acqua potrà raggiungere i 60
metri. Coll’interasse di 16 metri, 18 contrafforti di spessore
variabile fra gli otto metri e due metri e mezzo e lunghi alla base
ben 75 metri, sostengono il manto di ritenuta composto di volte
inclinate in cemento armato, di spessore variabile tra metri 1,60 e
0,50.
L’inclinazione del paramento a monte è di 57° e quella a valle di
70° circa. Il volume totale delle murature raggiunge i 165.000 metri
cubi. Lo sbarramento è munito di due scaricatori di fondo, di
quattro grandi paratoie a circa un terzo di altezza e di due
paratoie autolivellanti alla superficie. La capacità complessiva di
scarico raggiunge i 2000 metri cubi al secondo.
Nei vani esistenti fra un contrafforte e l’altro trova posto la
centrale idroelettrica con due gruppi turbina-alternatore di 6000 HP
e due di 9000 HP ciascuno nonché i trasformatori elevatori a 75.000
volt ed il quadro. L’acqua sarà utilizzata sotto un salto medio di
circa 46 metri, generando circa 50 milioni di chilowattora all’anno.
Il lavoro effettivamente iniziato nel 1919 sarà completamente finito
nel 1922. Esso è diretto dall’ing. Felice Costamagna.
L’acqua di scarico continuerà nel letto del Tirso fino a Villanova
Truschedu dove sarà captata con una traversa in muratura munita di
scaricatori automatici e delle paratoie di regolazione, e mediante
una adeguata rete di canali sarà distribuita ai terreni da irrigare,
per cura della società «Bonifiche Sarde», che ha progettata e
richiesta in concessione la bonifica di circa 20.000 ettari di
terreni paludosi in quel di Terralba e che si propone un importante
programma agricolo.
L’energia elettrica sarà consegnata in centrale alla Società
Elettrica Sarda che già distribuisce a Cagliari e nell’Iglesiente
quella attualmente generata nelle sue centrali termiche di Cagliari
e di Portovesme, le quali costituiranno in avvenire una riserva
termica di 10.000 HP.
La stessa Società distribuirà in tutta la Sardegna, mediante le reti
a 75.000 ed a 15.000 volt che sta costruendo, anche l’energia che
daranno man mano gli impianti studiati dall’ing. Omodeo per conto
della Tirso, sul Coghinas, sul Temo e sul Flumendosa, per un
complesso di circa 400 milioni di chilowattora annui. Tutta questa
massa di energia potrà trovare impiego in Sardegna nella metallurgia
specialmente dello zinco e del rame che si spera di poter impiantare
su basi sicure.
1 Maggio 1921»